"A cavallo è er mejo de tutti, ma er Palio è
n'antra cosa..."
Le eloquenti
parole di Beppe Gentili, confermate da tanti altri fantini dell’epoca, sono la perfetta
sintesi della carriera di Amaranto Urbani, probabilmente uno dei fantini
più sfortunati della storia.
Arrivò a Siena da Cantalupo in Sabina e debuttò
appena ventenne montando Wally per la Giraffa nel luglio 1932, lo chiamarono
Boccaccia, per la sua bocca “a ranocchia”, ma per tutti restò sempre e
semplicemente Amaranto.
foto ilpalio.org
Già dagli esordi Amaranto dimostrò ottime doti, in
particolare in partenza.
Nel 1934 si legò, in un curioso connubio cromatico,
con la Torre, ma quello fu un anno decisamente sfortunato: a luglio pur
lottando nelle prime posizioni il Palio lo stravinse il Meloncino nella Civetta
ed in Salicotto arrivò la poco ambita cuffia; ad agosto andò ancora peggio, nel
famoso Palio del tradimento di Pietrino al Nicchio, l’Oca vinse, ancora col
Meloncino, con Amaranto relegato in fondo al gruppo sull’anziana e malconcia
Lina.
Assente nel 1935, l’anno seguente Amaranto riuscì a
mettersi in particolare evidenza dando praticamente una svolta positiva alla
sua carriera.
Il riferimento obbligato è al Palio dell’Impero,
corso il 2 luglio 1936, partito primo, nella Chiocciola sull’esperta Melisenda,
fu protagonista di due duelli accaniti prima al Casato dove fece cascare lo
Sgonfio nella Pantera e poi con il super favorito Pietrino, nell'Oca con il
mitico Folco, annientato a nerbate e controllato fino allo scoppio del
mortaretto che vide trionfare la Giraffa col quasi ignaro Bovino aggrappato a
Ruello.
Pur sacrificato in un ruolo di difesa Amaranto aveva
disputato un gran Palio chiuso con un secondo posto bissato nell'agosto successivo
nel Nicchio con Folco quando, dopo una brillante partenza, il nostro
protagonista non riuscì a recuperare su Tripolino nel Drago con Aquilino.
Il Palio del luglio 1939, disputato dopo tre anni di
assenza, confermò tutte le caratteristiche di Amaranto: nel Nicchio su Ruello,
due giri da protagonista prima di perdersi a vantaggio di Pietrino e Tripoli
che si contesero la vittoria.
Probabilmente quest’altra sconfitta, con uno dei
migliori cavalli del momento, accentuò la sofferenza di Amaranto, vittima da
un’oscura e crescente paura di vincere.
Alla ripresa del Palio dopo la guerra Amaranto si
legò alla Tartuca, in un modo che merita di essere raccontato.
In un’Italia ancora stravolta dalla guerra la notizia
della ripresa del Palio arrivò anche ad Amaranto che, nel frattempo, pur
impegnato in altri mestieri, non aveva abbandonato la sua passione.
A luglio i quasi impossibili collegamenti post-bellici
avevano impedito ad Amaranto di raggiungere Siena e per il successivo Palio
d’agosto si profilava una nuova assenza dal Campo.
Invece a Siena non era stato dimenticato e qualcuno
pensava a proprio a lui come mossa a sorpresa per vincere il Palio.
La Tartuca, con la promettente Giuliana, dopo esser
riuscita a contattare telefonicamente Amaranto organizzò un viaggio, davvero
tribolato ed avventuroso, per riportare il fantino laziale a Siena e tenerlo
nascosto fino al momento opportuno che arrivò alla quarta prova.
L’accoppiata con la svelta Giuliana faceva davvero
ben sperare la Tartuca ma, nella notte precedente alla carriera, la cavalla
accusò dei problemi fisici che preclusero di fatto la vittoria nonostante
Amaranto fosse riuscito, ancora una volta a partir primo ed a rimanere in testa
per tutto il primo giro.
Appena scoppiato il mortaretto, che sancì il trionfo
della Civetta con l’Arzilli su Folco, tutto il popolo delle contrade era già
sul tufo a chiedere la disputa di un altro Palio, un Palio davvero straordinario,
il celeberrimo Palio della Pace che vedrà, suo malgrado, attore non
protagonista proprio il nostro Amaranto.
Come è ben noto quello doveva essere il Palio del
Bruco, a tutti i costi, in tutti i modi, con l’accoppiata Arzilli-Mughetto
favorita anche e soprattutto da una fittissima rete di accordi e trame che
avrebbero riempito anche le tasche, particolarmente sguarnite dopo la guerra,
di tutti i fantini.
Amaranto venne confermato sulla scattante Elis e da
subito si comprese che, nonostante le varie pressioni, la Tartuca avrebbe
tirato a vincere non allineandosi al volere generale.
Amaranto, quindi, andava fermato in modo diverso e ci
pensò il Mossiere Lorenzo Pini ad assolvere al ruolo: per ben due volte la
Tartuca scappò nettamente prima col Bruco fermo al canape, in entrambe le
occasioni il Mossiere annullò la mossa scatenando l'ira dei tartuchini che,
capeggiati da un giovanissimo Silvio Gigli, ritirarono dalla carriera il
proprio cavallo, fatto senza precedenti nella storia del "Palio moderno".
Inutili furono le resistenze di Amaranto che venne
letteralmente trascinato via dalla piazza, eroe, suo malgrado, di quella che
venne definita dal capitano tartuchino Torquato Rogani “una vittoria invisibile e senza teca”.
Imbrigliato da episodi di portata storica eccezionale
Amaranto aggiungeva un nuovo rimpianto alla sua lunga lista nera, nulla di
paragonabile a quello che sarebbe accaduto nel Palio successivo.
La tratta favorì l'Oca che decise di affidare il
grande Folco ad Amaranto che dalla mossa, nonostante la vicinanza della Torre,
uscì con un vantaggio notevole, con il Montone, maggiore antagonista,
completamente fermo tra i canapi, all'improvviso, però, con un ritardo
clamoroso e tra lo stupore generale, la corsa dell'Oca venne fermata dal
ripetuto scoppio del mortaretto.
Ancora il Mossiere Pini ed il mortalettaio Ragno,
appassionato montanaiolo, avevano fermato la volata di Amaranto verso la tanto
desiderata gloria.
Rientrato nell'Entrone affranto ed incredulo Amaranto
si trovò solo di fronte al suo dramma e tornò tra i canapi molto provato, riuscì
comunque di nuovo a partire primo ma già a San Martino si concretizzò la
rimonta di Ganascia che col nerbo difese per tre giri la sua posizione
infliggendo al fantino dell'Oca un'umiliazione fin troppo pesante.
Per il Palio successivo Amaranto venne confermato
dall'Oca su Salomè, anche se la fiducia nei suoi confronti iniziava a vacillare
tanto che nelle prove si alternarono con lui anche i vecchi Pirulino e Porcino.
Con grande determinazione Amaranto a San Martino
riuscì a prendere la testa ma la mantenne per un solo giro, battuto stavolta dall’emergente
Beppe Gentili.
A chiudere e confermare lo sfortunatissimo connubio
con l'Oca lo straordinario del 18 maggio 1947 terminato con la rovinosa e
drammatica caduta al primo San Martino che costò la vita al velocissimo
purosangue Cesarino che aveva appena preso la testa dopo una partenza a razzo
dalla posizione di rincorsa.
Il secondo posto nel luglio 1947, nella Tartuca sul poco
considerato Gioioso, reso pimpante dal vecchio Bubbolo tutto fare della stalla,
è solo l’ennesimo amaro dato statistico.
Nell’agosto successivo Amaranto fu confermato nella
Tartuca sulla quotata Salomè ma sul fantino ormai iniziarono a serpeggiare ulteriori
dubbi e la fiducia nei suoi confronti veniva meno, tanto che la monta fu in
bilico fino all’ultimo.
Il Palio lo vinse la Torre, Amaranto pur partendo tra
gli ultimi arrivò terzo ma subì lo stesso una dura contestazione a fine corsa che
lo amareggiò a tal punto da fargli promettere di non tornare più a correre
nella Tartuca.
Ormai consumato da tante delusioni ed ossessionato
dal miraggio della vittoria Amaranto corse due Palii anonimi nel 1948 per poi
rilanciarsi, a sorpresa, nel luglio 1949 disputando una grande carriera nel
Bruco con lo sconosciuto Mistero battuto solo dalla giornata di grazia del
giovane Bazza nella Chiocciola.
La tratta del Palio d'agosto assegnò Mistero alla
Torre che, dopo quindici anni e dopo la militanza in Fontebranda, scelse proprio
Amaranto preparando il Palio in tutti i dettagli.
Forse per la prima volta, nella sua ormai lunga
carriera, Amaranto si presentò tra i canapi con tanti soldi da spendere ed il
conseguente appoggio di gran parte degli altri fantini.
Il lavoro della dirigenza torraiola sembrò poter
sortire gli effetti sperati: Amaranto, risalito indisturbato dal quinto posto
fino allo steccato, riuscì a partire nettamente primo mentre la Civetta,
principale antagonista con l'Arzilli sulla velocissima Popa, subiva prima
l’ostacolo tra i canapi del Terribile nella Selva e poi veniva frenata dalle
nerbate di Pietrino nell’Istrice.
Ma anche stavolta qualcosa andò di traverso:
l'Arzilli, con il quale Amaranto aveva avuto qualche dissidio di natura
economica, riuscì a divincolarsi al secondo Casato dal duro ostacolo ed in
poche falcate raggiunse e staccò nettamente la Torre.
Una possibile vittoria storica si trasformò in un pianto
disperato...
La malasorte non risparmiò altri duri colpi per
Amaranto anche nei suoi ultimi incolori spiccioli di carriera, i clamorosi
fatti dell’agosto 1952 sono emblematici in tal senso.
Il veloce Miramare faceva ben sperare Amaranto ed il
Bruco, afflitto da un digiuno trentennale, la posizione allo steccato ed i
tanti soldi a disposizione rendevano la situazione ancora più favorevole.
Ma, all’improvviso, con la rincorsa ancora fuori dai
canapi, una banale forzatura mandò sul tufo il povero Amaranto, riportato a
braccia nell’Entrone e poi sostituito, in barba al regolamento, da Falchetto
“prelevato” dalla Chiocciola per evitare l’invasione di pista dei brucaioli.
Ormai vittima di critiche, spesso ingenerose e fin
troppo pungenti, Amaranto corse il suo ultimo Palio nell’agosto 1953 per la
Civetta, lasciando in molti contradaioli un ricordo di struggente rammarico.
Morì a soli quarantaquattro anni sognando di vincere
un Palio, il suo più grande rimpianto di fantino “onesto”.
Roberto Filiani