Per quanto gli storici ed eruditi senesi del Settecento – come il Gigli, il Macchi, il Torrenti – ritenessero che la Tartuca fosse la Contrada più antica di Siena, essendo compreso nel suo territorio il nucleo della città altomedievale (ovvero Castelvecchio), non c’è alcuna certezza, né testimonianza documentaria, che ciò corrisponda al vero. Di sicuro i tartuchini presero a vantarsi di questa primogenitura, tanto da metterla nero su bianco nella Memoria istorico cronologica della Contrada della Tartuca, cioè la prima trattazione delle vicende storiche della Contrada, pubblicata in occasione della solenne consacrazione dell’oratorio nel 1818.
In realtà non sappiamo con precisione quando gli
abitatori di Castelvecchio, delle Murella, delle vie dei Maestri e delle
Cerchia, di Porta all’Arco e della castellaccia di Sant’Agata cominciarono ad
aggregarsi sotto il nome della Tartuca. Nelle sporadiche menzioni di Contrade
che si susseguono lungo il corso del XV secolo la Tartuca non viene citata,
almeno direttamente. Con estrema probabilità un gruppo di abitatori della
Compagnia militare di S. Pietro in Castelvecchio prese parte alla pugna del 1
marzo 1495 sotto l’insegna della famiglia Tegliacci, a quell’epoca dimorante
nell’omonimo palazzo di via S. Pietro (oggi palazzo Buonsignori, sede della
Pinacoteca nazionale). Questi pugnatores
sponsorizzati dai Tegliacci avrebbero potuto costituire l’embrione contradaiolo
della Tartuca. Si noti infatti che la rigida attribuzione dei territori delle
antiche Compagnie militari alle Contrade è in buona parte frutto della fantasia
interessata del conte Pecci, colui che riportò in vita l’Aquila. Come
dimostrano le zone di residenza dei primi ufficiali della Contrada che ci sono
noti, a formare il territorio della Tartuca concorsero porzioni, anche
abbondanti, di S. Quirico in Castelvecchio e appunto S. Pietro in
Castelvecchio, oltre ovviamente alle canoniche Porta all’Arco e Sant’Agata. Inoltre,
almeno fino all’emissione del Bando sui nuovi confini del 1730, via S. Pietro
era considerata dagli storici ed eruditi senesi facente parte della Tartuca. L’ipotesi
che una parte della schiera dei Tegliacci nel 1495 fosse l’espressione
primordiale della successiva Tartuca, non è dunque affatto peregrina.
Ma purtroppo attestazioni documentarie della Tartuca
non si trovano fino all’epoca della guerra fatale col tiranno Carlo V ed il suo
bieco scherano Cosimo de’ Medici. La Contrada di Castelvecchio non prese parte
alla grande caccia ai tori del 1506, descritta doviziosamente da un anonimo
visitatore fiorentino e che vide in Campo ben 12 delle Contrade attuali. La
Tartuca fu però anche l’unica che non partecipò neppure alla più celebre fra
tutte le cacce ai tori tenutesi in Piazza del Campo: quella del 15 agosto 1546.
I motivi di questa assenza sono ignoti. La possibilità che la Tartuca non si
fosse ancora formata parrebbe da scartare, in virtù della documentazione di
poco posteriore che, al contrario, ne certifica l’esistenza anche prima della
caduta di Siena. Rimangono in campo tutte le altre varie congetture: i
tartuchini non si cimentarono nella caccia del 1546 per motivi politici (lo
spettacolo pubblico doveva celebrare l’allontanamento dei Noveschi dal
governo), oppure per mancanza di denari, o forse per scarsità di uomini? Le
carte oggi a conoscenza degli studiosi tacciono.
Arresasi
anche la Repubblica ritirata in Montalcino, i Senesi superstiti rientrarono in
patria e si cercò di costringerli ad onorare l’usurpatore mediceo con una
grandiosa caccia di tori da allestirsi nel 1560 alla venuta dell’esecrato
Cosimo. È in tale contesto che la Tartuca viene finalmente citata nei
documenti, al pari delle altre 16 consorelle. La Contrada di Castelvecchio
appare avere una consolidata prassi organizzativa, tale da non poter lasciare
spazio a dubbi circa la sua esistenza antecedentemente allo scoppio della
guerra con l’impero. Ad ulteriore riprova di ciò, la Contrada aveva la propria
bandiera in deposito presso la chiesa di Sant’Agostino, evidentemente da prima
dell’assedio. Non solo, ma già possedeva un carro a forma di tartaruga – detto
appunto “la tartuca” – che era certamente servito nelle cacce ai tori precedenti
ed era conservato in qualche rimessa dell’Opera del Duomo durante gli anni
della guerra.
Rimane
da dire – o meglio da ribadire – che il nome “Tartuca” non è certamente di
derivazione spagnola, come una vulgata facilona e incolta prese ad ipotizzare
numerosi decenni fa. Il lemma – peraltro attestato nei documenti senesi più
antichi nella forma “Tartucha”, a riprodurre graficamente la tipica aspirazione
della c di matrice locale – ha bensì un’origine tardo latina, addirittura su
una base del sostrato etrusco-tirrenico. Secondo le più recenti indagini
linguistiche e filologiche, insomma, tartuca
(presente con le sue varianti similari tartuga, tortuca, tortuga nelle lingue
romanze) è la forma più antica dell’italiano, che poi si modernizza in tartaruga a partire dal XVI secolo.
Parrebbe perciò che a Siena il vocabolo antico si sia cristallizzato nel nome
della Contrada, sopravvivendo nei secoli.
Giovanni
Mazzini
Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 14 Giugno 2020 dedicato alla Contrada della Tartuca
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