giovedì 21 marzo 2024

L’Oratorio di San Giovannino della Staffa


Formata dai rioni delle Compagnie militari di San Giorgio e di Pantaneto, a cui si aggiunse più tardi anche una porzione della Compagnia di Spadaforte, la Contrada del Leocorno, dopo aver a lungo tenuto le proprie adunanze nelle abitazioni dei capitani, e specialmente nel palazzo dei nobili Sozzini, riuscì alla fine del XVII secolo ad ottenere ospitalità nella cappella interna della Chiesa di San Giovanni Battista in Pantaneto, officiata dall’omonima compagnia laicale. La convivenza con i confratelli della compagnia si rivelò ben presto difficile e la contrada dal 1720 si adattò a tenere le adunanze presso l’Osteria dell’Angelo, situata nella piazzetta di Follonica.
Rinnovato l’accordo per l’uso della cappella in San Giovanni Battista nel 1776, il Leocorno vi rimase fino al 1869, anno in cui riuscì ad ottenere la chiesa di San Giorgio, rimasta libera per il trasferimento del seminario arcivescovile. Finalmente, attraverso una convenzione stipulata nel 1966 con la curia senese, il Leocorno ebbe ad uso perpetuo la chiesa di San Giovanni Battista detto della Staffa, nome derivato dall’antica denominazione dell’attuale via Sallustio Bandini.
Nell’Oratorio sono conservate numerose ed importanti opere d’arte, alcune realizzate da artisti che furono anche fratelli della compagnia di San Giovanni in Pantaneto, come Domenico Manetti e Bernardino Mei, che nel 1648 fu anche priore della compagnia.



La chiesa ha una semplice ma elegante facciata in cotto realizzata da Giovan Battista Pelori nel 1537.
Nella cappelletta d’ingresso troviamo una fila attribuita a Deifebo Burbarini che rappresenta il “transito di San Giuseppe“.
All’interno gli affreschi delle volte sono stati eseguiti da Dionisio Montorselli, Astolfo Petruzzi pittore italiano del periodo barocco, attivo principalmente a Siena ma anche a Spoleto e Roma, allievo di Francesco Vanni, lavorò con Ventura Salimbeni e Pietro Sorri.
Alle pareti, sopra un grande coro ligneo, realizzato ad opera di diversi maestri falegnami tra il 1579 e il 1605, sono collocate 13 tele con le storie di San Giovanni Battista, raffiguranti, partendo da sinistra: “Visione di Zaccaria“ di Raffaello Vanni;  “Visitazione“ di Giovan Battista Giustammiani, detto il Francesino, pittore attivo a Siena, forse è di origine francese; “Natività del Battista“ di Domenico Manetti; “Gesù bambino e San Giovannino“ di Rutilio Manetti; “San Giovanni nel deserto“ di Astolfo Petrazzi(1639); “Predica del Battista“ di Rutilio Manetti; “Angelo annunziante“ di Dionisio Montorselli.
Guardando l’altare maggiore, probabilmente realizzato da Flaminio del Turco nel 1609, troviamo il “Battesimo di Gesù” sempre di Rutilio Manetti; “Annunziata” di Dionisio Montorselli; “il Battista addita il Redentore ai farisei“ opera dei fratelli Rutilio e Domenico Manetti; “San Giovanni dinnanzi a Erode“ di Bernardino Mei suo anche la “decollazione del Battista“; “Danza di Salomè” di Deifebo Burbarini;
“San Giovanni portato al sepolcro“ del Francesino.
Infine, collocata su un cavalletto, una tavola del XIV secolo raffigurante la Madonna della Pace di Francesco di Vannuccio, pittore italiano documentato tra il 1356 e il 1389,particolarmente venerata durante la seconda guerra mondiale.
Nei locali adiacenti alla chiesa sono conservate altre preziose opere d’arte, soprattutto nell’ex cappella della Madonna della Pace ora sala delle adunanze, come due tele di Aurelio Martelli “La nascita e il transito della Madonna“ (1667).
Ai piani superiori si trovano alcuni dipinti provenienti dall’Oratorio della Congregazione degli Artisti, che ebbe origine alla metà del XVII secolo sotto l’Immacolata Concezione, che nel 1914 deliberò di entrare a far parte della Contrada del Leocorno conferendole tutti i suoi oggetti d’arte ed anche il suo Archivio.
 
Caterina Manganelli




Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 20 Giugno 2020 dedicato alla Contrada del Leocorno

Crediti foto:
Facciata di San Giovannino - Autorizzazione CC BY 3.0 (autore Sailko)
Tabernacolo di Pier Luigi Olla - Foto di Matteo Ricci
 

sabato 2 marzo 2024

L'inganno del tempo: gallo nero e gallo bianco.


Quante volte nella nostra vita al suono della sveglia ci siamo girati dall' altra parte
bofonchiando “Ancora 5 minuti!”.
Io personalmente tutte le mattine. Confido di aver messo una sveglia ausiliaria e torno a sognare placidamente. I problemi cominciano quando mi accorgo che il mio sonno supplementare non è stato di 5 ma di 35 minuti.
Il resto sembra un copione già scritto: sequele di improperi e accidenti vari con l’inevitabile conclusione di essere in ritardo. Il tempo già non é galantuomo ma la mattina poi è un autentico tiranno. Non solo per i ritardatari cronici come me. Tutti siamo affamati di tempo; un bene che non ci basta mai. Per averne a disposizione sempre di più ci inventiamo stratagemmi sempre più articolati per contrastare il suo inesorabile scorrere.
Giusto ieri mentre sfrecciavo fra le colline del Chianti -ovviamente in ritardo con l’obiettivo a ingannare il mio tempo personale dalle maghe dei nostri giorni: le estetiste -mi sono ricordata di un racconto, una leggenda sotto alcuni aspetti, in cui l’ ingegno dell' uomo un po' di tempo e' riuscito a guadagnarlo davvero.

immagine tratta dal sito https://www.chianticlassico.com/

La storia è ambientata proprio in queste terre, in quel periodo mistico e complicato che è il Medioevo. La regione che già da allora si chiamava Chianti è sconquassata da due nemici di sempre: Siena e Firenze.
Non era solo una disputa di principio badate bene, come un' antipatia “a pelle”. La posta in gioco allora era molto più concreta. La posizione strategica tra il Valdarno il Fiorentino il Chianti nel centro esatto di un palcoscenico naturale di guerre.
In tutto questo dovete considerare le mire espansionistiche di Siena. Per spezzare una lancia a loro favore occorre osservare che la loro politica “estera” non dava i frutti sperati. A nord non riuscivano a fare breccia con i fiorentini e persino a sud le realtà comunali di Montepulciano e Montalcino giurano fedeltà al giglio. I tentativi di assedio poi non vanno a favore della controparte balzana.
Ma tornando al nostro racconto, le cronache dimostrano che né a parole né ad armi si riesce ad avere un risultato definitivo che garantisca una tregua un po 'più duratura.
La storia narra che in seguito all’accordo di Fonterutoli del 1208 entrambi gli schieramenti concedano di disputare una gara. I partecipanti sono un cavaliere senese e un cavaliere fiorentino. Lo svolgimento e' il seguente: i due sfidanti dovranno partire dai loro rispettivi accampamenti (posti alle porte delle rispettive città) al cantare del gallo e correre a spron battuto fino a che non si incontreranno. In quel punto, dove giglio fiorentino e balzana senese si incontreranno, lì sarà posto il confine e non se ne parlerà più.
Vengono scelti i galli: a Siena un gallo bianco e a Firenze un gallo nero.


Ed è qui che entra in scena l'ingegno umano (e forse il racconto diventa leggenda). Il canto del gallo infatti era un modo all’epoca per scandire il tempo. E' noto tutt' oggi che il gallo canta con il sorgere del sole. Il lampo di genio è stato far credere al gallo che il sole (per lui) doveva sorgere prima. Per farlo si è reso necessario fare leva su un bisogno ancora più ancestrale del cantare: la fame.
I senesi dettero al loro gallo dal manto candido mangiare a sazietà in modo che al sorgere del sole cantasse con un fragore tale da svegliare tutto l’ accampamento. I fiorentini, al contrario, al loro gallo non dettero da mangiare. Il povero pennuto quindi vinto dai morsi della fame se ne infischia del colore del cielo e in anticipo rispetto al sorgere del sole comincia a cantare.
Poco importa se tutt' intorno fosse ancora coperto dal velo della notte. Il segnale convenuto aveva squarciato l’aria forte e chiaro. Il cavaliere con lo stemma del giglio si infila l’elmo sale sul suo destriero e galoppa per ben 12 legge prima di incontrare il suo collega accompagnato dallo stemma della balzana. Per dare un riferimento si incontrano pressappoco nella zona di Castellina in Chianti.
Non oso immaginare la rabbia e lo smacco dei “sanesi” di trovarsi i confini guelfi a un tiro di schioppo dalle proprie mura. Conoscete il detto “Chi perde non cogliona ma ha diritto a sclerare”?
Manco a dire che la parte lesa ghibellina potesse presentare ricorsi o altro perché nell' accampamento guelfo c'erano i <<notari senesi>> presenti nel momento in cui quel galletto ha cominciato a cantare.
Mi diverto ad immaginare nobili e plebei, prelati e laici dietro le possenti mura che tutt'oggi possiamo ammirare, tutti insieme a mangiarsi le mani tirando improperi ed anatemi con gli occhi alzati al cielo per essere partiti in ritardo.
Non vi sembra di aver appena vissuto un deja-vù !?

Eleonora Sozzi


Bibliografia:
“La storia del Chianti”, Giovanni Righi Parenti- Edizioni Periccioli- Siena

si consiglia la visione del filmato realizzato dal Consorzio del Chianti Classico

La Fontanina della Contrada della Chiocciola

  “Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita.” (O.Wilde) La storia è custode della memoria di un territorio...