domenica 26 maggio 2024

I Numeri Unici del Drago - di Massimo Biliorsi



Il primo Numero Unico della Contrada del Drago è quello del Palio della Pace. Non poteva essere altrimenti: la Contrada negli anni trenta è una ristretta, seppur ben organizzata, cerchia di persone con personaggi come Mattei e Nozzoli, capaci di tenere assieme sede e società ma con problemi numerici che si riflettono in settori allora molto laterali come l’editoria. La rinascita del dopoguerra è una rinascita sostanziale, ed ecco un Numero Unico agile e semplice, con quella copertina un po’ liberty, con un drago che fa marameo e collaborazioni illustri come quella di Mario Verdone. Lo sappiamo che l’evoluzione di questa pubblicazione fu ovunque lenta e meditata fino alla fine degli anni sessanta del novecento.
Il Drago si toglie la cuffia nell’agosto del 1962 e una nuova generazione, giovane e un po’ irriverente, guida la Contrada di via del Paradiso. E questo non poteva non riflettersi sulle copertine dei quattro Numeri Unici, quasi una pubblicazione annuale, che testimoniano i successi del 1962, 1963, 1964 e 1966. Sono, nell’ordine, “Grancarriera”, “Piazza pulita”, “Il filo di Arianna” e “Dragomania”. Si assomigliano per grafica, formato e contenuti. Qui appaiono figure a noi molto care: i disegni e le copertine di Emilio Giannelli, i testi sagaci e pungenti di Andrea Muzzi e Enrico Giannelli. 
Passano vent’anni e finalmente il Drago vince: c’è molto da raccontare in “Beati gli ultimi”, titolo di Paolo Corbini, con un’altra generazione che si racconta in un successo insperato e condito dai disegni del già mitico Giannelli, Pizzichini e Pollai. Il Numero Unico è realizzato a Firenze dall’editore dragaiolo Carlo Balocchi.
Passano tre anni ed ecco “Ippomanzia”, titolo ideato dal sottoscritto, dove il pretesto del filo conduttore è quel ferro magico che Benito ha potuto riavere prima della corsa.
Si arriva al 1992, ed ecco il Numero Unico forse più coerente e capace di interpretare una bella stagione. E’ in due volumi, con un cofanetto, e si intitola “Ricamato”, titolo di Enrico Giannelli e copertina del fratello, visto che il drappellone era stato così realizzato.
L’anno dopo siamo di nuovo al lavoro e c’è modo di sbizzarrire la fantasia e soprattutto l’ironia. Si tratta di “035 United Colors of Dragon”, ancora mia l’idea, e tutta la capitaneria vittoriosa è ritratta nuda come la celebre pubblicità della Benetton. C’è un inserto satirico Cuore che è restato davvero nel cuore di chi lo realizzò.
Eccoci al 2001: drappellone realizzato da chi disegnava i manifesti per il cinema, Silvano Campeggi, e quindi tutta la festa prende l’impronta e la vocazione del grande schermo. Non per niente si chiama “Nuovo Cinema Paradiso”, strada dragaiola e film vanno d’accordo, ed è racchiuso proprio nella scatola a forma di pizza cinematografica. Cambiano le generazioni, qualcuno di noi va a divertirsi con la commissione regia della cena ed ecco Susanna Guarino che guida un gruppo di giovanissimi per “D’Oppio”, due volumi che consacrano un grande cavallo e una dirigenza vittoriosa all’esordio. Ed infine “Favoloso”, una festa e una pubblicazione che ripercorrere epiche vicende, con un altro gruppo di giovani guidati stavolta da Giovanni Molteni, carta anticata per una storia nuovissima, con una particolare sottolineatura al fatto che, accaduto soltanto alla Torre, un proprio contradaiolo avesse disegnato il cencio portato a casa. Un viaggio lungo quasi un secolo, un viaggio editoriale che segna il passaggio dei tempi, delle mode ma sempre con una volontà e un entusiasmo che, nonostante l’arrivo di nuovi mezzi di comunicazione, segna la costante e bella presenza di un cartaceo che sprigiona sempre ricchezza e nostalgia. 
Per questo immortale. 

Massimo Biliorsi


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 1 Giugno 2020 dedicato alla Contrada del Drago

domenica 19 maggio 2024

Rubrica: Il Palio al Cinema - Introduzione e "Palio" di Alessandro Blasetti

Introduzione
 
Il Palio di Siena ha assistito attivamente, nel passaggio dal XIX al XX secolo, al mutare della società contemporanea, così aveva fatto con le epoche precedenti. In questa deriva storica, però ha avuto modo di “conoscere” e farsi “raccontare” dai nuovi media, in particolare dai mezzi radiofonici e televisivi; ma in questa rubrica, alla quale ci dedicheremo, la Festa è entrata a far parte anche e soprattutto della storia del cinema italiano e internazionale.
In questo senso ci “avventureremo” lungo una linea storica piuttosto breve, ma intensa, analizzando alcuni dei frame che riguarderanno dei contributi fondamentali. Nelle prossime settimane concentreremo il nostro interesse verso pellicole storiche, che non si sono limitate al racconto del Palio dell’epoca, ma ci hanno mostrato, per quanto fosse possibile, la storia di Siena e d’Italia: quella del Ventennio, quella del cosiddetto “boom economico” e quella del nostro tempo.
Insomma, quella del Palio è divenuta una storia non soltanto orale, scritta o dipinta, ma ha sentito il bisogno e una forte necessità, di essere rappresentata anche sul grande schermo. In effetti, il cinematografo è sorto con quella idea “romantica” e in qualche modo “futurista” del movimento. E se escludiamo, per qualche istante, le immagini della vita contradaiola e quelle del Corteo Storico, l’essenza della velocità e delle falcate dei cavalli sull’anello di tufo risiede in quel desiderio umano, quindi antropologico, che è poi diventato realtà: filmare l’azione, la velocità e fermarla su un supporto per sempre, per poterla rivivere continuamente di generazione in generazione. Ed è questo che ha condotto, in alcuni casi, positivamente all’unione di Palio e multimedialità. Ma quello che ha interessato il cinema successivo, e non quello delle origini, è la rappresentazione del Palio nel suo “rito”, che non è soltanto una corsa di cavalli, ma un “giuoco” serio che, nel conflitto tra le Contrade, ritrova la vera essenza dell’orgoglio cittadino, dell’appartenenza e quindi di un’identità immutabile e sempre nuova. Nel prossimo intervento ci occuperemo di Palio (1932) del regista Alessandro Blasetti.

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 26 Aprile 2020 dedicato alla Contrada di Valdimontone



Palio 
di Alessandro Blasetti (1932) 
 
Come avevamo accennato nello scorso numero, stavolta ci occuperemo del film di Alessandro Blasetti, “Palio” (1932). Avevamo fatto cenno anche di come il Palio, nel passaggio di secolo, si sia “adattato” ai nuovi media: prima la radio, poi il cinema e, per finire, la televisione. Ci eravamo focalizzati, inoltre, su di un aspetto molto interessante, del quale gli amanti del cinema non dovranno mai scordarsi: il sogno “eterno” di fissare per sempre un’azione, perpetuarla nel tempo e soprattutto custodirla. Un impegno non da poco per quanto riguarda, in maniera particolare, il repertorio e l’archivio multimediale della Festa arricchito dall’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione che hanno iniziato a cambiarci la vita. D’altra parte viviamo in quell’epoca, fortunata o meno, non sta a noi sentenziare questo, che Walter Benjamin aveva definito, nel 1936, “della sua riproducibilità tecnica”.
Del film di Blasetti, “Palio”, conosciamo molto bene la trama e non è questa la sede per rammentarla ai lettori e a coloro che, per un motivo o per l’altro, non hanno ancora visto la pellicola (chi ama il cinema, di conseguenza conosce le sue regole: mai fare “spolier”!). E non sarà nostro compito o intenzione, qui, farne un’analisi filmica più precisa. Per questo, dopo la visione del film, invitiamo i lettori interessati ad approfondire il tema attraverso due importanti saggi scritti dalla studiosa Paola Micheli: “Un Palio per il cinematografo”, Il Leccio, Siena, 1997; “Il cinema di Blasetti, parlò così. Un’analisi linguistica dei film (1929-1942)”, Bulzoni Editore, Roma, 1990. 


Nella storia del cinema, e qui intendiamo la finzione cinematografica, il Palio è stato dapprima protagonista assoluto, per poi divenire, in alcuni casi, “comparsa episodica” (oggi gli studiosi la definiscono “cinematografia di promozione turistica”). Una “comparsa” importante, intendiamoci, ma che con la trama principale ha poco collegamento, se andiamo a ridurre il film all’osso.
Ci scusiamo per il gioco di parole, ma “Palio” è un film sul Palio, a differenza, per citarne uno, di “Quantum of Solace” (2008) di Marc Forster, per i motivi sopra citati. Il film del regista italiano, Blasetti, ha avuto l’onore di “nascere” dal soggetto di un senese noto al mondo dello spettacolo come Luigi Bonelli. È il ritratto di una Siena in bianco e nero, che dà vita a una sorta di “realismo” della finzione e, nel contempo, ci mostra una città che non c’è più, almeno sotto alcuni aspetti (interessante, per esempio, è la sequenza che riguarda i lampioni che, al tempo, circondavano, insieme ai colonnini, Piazza del Campo). “Fiction” e “realtà” hanno uno strano rapporto con lo spettatore e riguardo questo sarebbe interessante confrontarci, ma non è questo il luogo, con gli studi condotti da Siegfried Kracauer. Gran parte delle sequenze di “Palio” furono girate in interni e la recitazione degli attori è più teatrale e poco cinematografica. Le sue origini si specchiano in quella tradizione del teatro italiano di stampo ottocentesco, e in questo caso ha dei “ritagli” anche comici, fornendo allo spettatore delle divertenti “gags”. Ma siamo nel 1932, in pieno Ventennio, e quello che vediamo nelle sequenze ci riporta alla mente qualche documentario o filmato dell’Istituto Luce sulla Festa che, particolarmente, era interessato e focalizzato a evidenziare l’importanza delle monture, delle bandiere, dei vessilli e delle gualdrappe. Un racconto “romantico” del Corteo Storico che mette in risalto gli alfieri, le chiarine, che intonano la Marcia del Palio, il Carroccio, quello del tempo, i fantini, i cavalli e altre componenti che marcano con insistenza la natura “antica” della tradizione senese.


Poi, verso la fine del film, dopo una lunga attesa, entrano i cavalli in Piazza, disputano una Carriera interminabile (5 giri), e viene azzardata anche una ripresa con “camera-car” in un breve segmento della Corsa. Altre inquadrature, invece, avvengono dalla Torre del Mangia. Un fatto curioso è che alcune riprese del Corteo Storico furono realizzate il 15 di agosto del 1931, prima della Prova Generale. Ciò che, per certi versi, accomuna la “fiction” di questo film a “La ragazza del Palio” (1957) di Luigi Zampa è proprio la sequenza della Carriera. Zampa, però, al contrario di Blasetti, ha fatto un uso eccessivo del “found footage” mischiando filmati di diversi Palii, prove e immagini relative alle batterie della Tratta. Ciò che fortemente ha caratterizzato la pellicola, prodotta dalla Cines, è la sua attenzione “linguistica” nei confronti dell’italiano e del dialetto “toscano”. La sequenza di apertura presenta delle didascalie, tipiche di un cinema muto, che non esiste ormai più, che servono tuttavia ad enfatizzare l’aspetto dell’”antico”, di un immaginario “medievale” o “rinascimentale”, comune allo spettatore. Oggetto di polemica fu invece il “parlato” degli attori che dialogavano fra loro non in senese ma in fiorentino: un errore imperdonabile.
 
Lorenzo Gonnelli

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme dell' 11 Maggio 2020 dedicato alla Nobile Contrada dell'Oca

 

domenica 12 maggio 2024

La Festa Titolare dell'Oca, e la processione per la Santa


La festa titolare della Nobile Contrada dell’Oca inizia quando abili operai ocaioli, con amore e qualche bercio, montano il fondale: un grande apparato ligneo esposto a fianco dell’Oratorio.
      
L’opera si presenta come un grande scenario architettonico dipinto, in alto le tre figure teologali, fedesperanza e carità, che si appoggiano ad una maestosa trabeazione, sorretta da quattro colonne corinzie.

Il progetto porta la firma di Agostino Fantastici, noto architetto fontebrandino; viene arricchito da una pittura centrale che rappresenta “il matrimonio mistico di santa Caterinarealizzato da Alessandro Maffei; sue probabilmente, anche le decorazioni ornamentali.

Il maestoso altare crea uno scenario meraviglioso, impreziosito dalle bandiere, dai braccialetti e dai canti che scaturiscono per l’accensione del Rione; per quattro giorni Fontebranda si anima, favorendo brindisi e canti che nascono spontanei, accompagnati dal suono dei tamburi, che proviene dalle fonti, punto di partenza di ogni Fontebrandino.


L'Altare - Foto di Pino Bonetto


L’omaggio ai defunti, l’iniziazione, i battesimi, ed il Mattutino, portano l’ocaiolo ad affrontare il giorno seguente, “IL GIRO”: classico saluto alle Consorelle ma impreziosito sul finale, con la processione in onore di Santa Caterina.  

Dopo il rientro da Piazza del Campo, ci si riunisce tutti a San Domenico dove, con devota disciplina, ci “mettiamo in formazione” per la processione:

I primi a partire sono i monturati, che una volta arrivati in fondosi dispongono ai lati della via, alzando la propria bandiera creando così’, una sorta di tunnel bianco rosso e verde, sotto il quale passano i dirigenti della Contrada e gli uomini che si dispongono ai lati dell’altare.      


Il "tunnel" di bandiere - Foto di Marco Francioli


A seguire le donne con in mano le candele, simbolo di luce e speranza, avanzano intonando l’inno di Santa Caterina “a gloria di Siena ed Italia”, con fierezza e commozione, ed esplodono in un pianto quando “all’imbocco” di via Santa Caterina, si ha la visione più bella che si possa avere: le bandiere che incorniciano la via, i braccialetti che la illuminano e rendono magica quella visione e che sembrano quasi fiaccole, a causa sicuramente degli occhi lucidi; dietro, in fondo, ma non perché meno importanti, i bambini: anche loro cantano l’inno e portano in mano, fieri e delle volte impacciati, il giglio, fiore di Santa Caterina; lo poggiano con profonda devozione alla base dell’altare e si dispongono lateralmente per far passare Lei, la Santa, un busto d’argento sbalzato opera di Giuseppe Coppini del 1807, che porta in sé, nella sua base, una reliquia di Caterina, un pezzetto di falange; preceduta e solennemente accompagnata da un tamburino e una coppia di alfieri, viene trasportata da quattro uomini dell’Oca, posta sopra all’altare e il Correttore da inizio alla Messa Solenne.

L’ocaiolo lo sa, quella non è una semplice messa ma il momento in cui la Contrada, diviene a tutti gli effetti FAMIGLIA: gli ocaioli si scambiano sguardi, molte volte pieni di lacrime per la forte emozione che stanno provando, percepita anche da chi ocaiolo non è, consapevoli di stare vivendo un momento particolare; gli sguardi lucidi confluiscono verso gli occhi della Santa, creando una sorta di filone tra gli ocaioli di ieri, di oggi e di domani, che ci fa capire di essere parte di una grande e splendida famiglia, quella di F
ontebranda.

Caterina Manganelli     


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme dell' 11 Maggio 2020 dedicato alla Nobile Contrada dell'Oca

La Fontanina della Contrada della Chiocciola

  “Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita.” (O.Wilde) La storia è custode della memoria di un territorio...