domenica 1 settembre 2024

Ettore, un Panterino che conquistò il mondo

 

Una Porsche rossa che saliva le curve di San Marco, per arrivare in modo impaziente nel suo Pian dei Mantellini, dove ad attenderlo c’erano Velio e Giorgio dell’autorimessa Burrini. In pochi minuti il rione veniva a sapere del suo arrivo e la Piazza del Carmine si riempiva di panterini: era tornato Ettore Bastianini nella sua città natale, mai dimenticata. Era la Siena delle strade ancora sterrate, della voglia di rinascita del dopoguerra, del rispetto verso le figure istituzionali e del riconoscimento del popolo come motore per la crescita.



Chiediamo ad Umberto Ceccherini, panterino noto in città per la sua passione “canora” e quindi molto legato alla figura del Capitano vittorioso del 1963:


Quale è il primo ricordo che hai di Ettore?

«Il primo ricordo corrisponde alla diversità di questa figura imponente, sempre elegante, impostato nella voce; una sorta di elemento estraneo al rione, sebbene facente parte dello stesso. Ho in mente la scena di Ettore che da via Paolo Mascagni risaliva Stalloreggi, circondato dal popolo della Pantera che lo considerava già una star internazionale.»

 

Aveva qualche difetto?

«Avevo 17 anni quando è morto, quindi è difficile poter giudicare! A quell’età era impossibile, anche solo per rispetto, valutare i difetti di una persona di tale levatura, anche se ho sentito sempre dire che l’ingenuità non l’ha mai aiutato nello stabilire reali e sinceri rapporti con le persone. Potremmo dire che il suo maggior difetto era l’essere troppo buono!»

 

E quali erano invece i suoi pregi più evidenti?

«La generosità sicuramente al primo posto, poi l’attaccamento alla sua professione parimenti al desiderio di rendere il suo rione famoso, insieme a lui, nel mondo.»


 

Si dice spesso che Siena non riconosce in modo adeguato i propri figli che trovano successo altrove. Con Ettore Bastianini come si è comportata la città?

«Credo che molti senesi non sappiano ancora chi fosse, non per cattiveria, ma per ignoranza, e questo è dovuto ad una mancanza di adeguata riconoscenza nei suoi confronti. Potrei dire la stessa cosa per l’Accademia Chigiana, che negli anni ’60 era conosciuta da tutto il mondo ma ignorata dai senesi stessi. Non so se dipenda da uno scarso interesse nei confronti della musica, oppure da una volontà di non celebrare tutto ciò che ci rende onore al di fuori della strade cittadine. Sicuramente Ettore Bastianini meriterebbe più di una via a lui intitolata!»

 

Cosa porta ancora di Bastianini la Pantera nel proprio cuore?

«Dipende dalle persone: ci sono giovanissimi che continuano ad onorarlo, chiedendo e informandosi su di lui; all’opposto ci sono adulti che forse non capiscono come valorizzare la sua figura. Personalmente ritengo che sarebbe uno stimolo importante per una crescita culturale della Pantera!»

 

Potrebbe rinascere a Siena un nuovo Ettore Bastianini nel 2020?

«A Siena abbiamo molti giovani cantanti, ma il punto è lo stesso: sfortunatamente non esiste una vera e propria scuola di canto, e credo che intorno alla musica lirica non ci sia un interesse vero e concreto, se non per la creazione di corsi finalizzati ad una preparazione del momento. Chiaramente il timbro vocale naturale di Ettore Bastianini nasce una volta ogni mille anni, e se a questo aggiungiamo che non esistono più veri e propri filantropi che favoriscono volontariamente la crescita degli studenti, la risposta alla vostra domanda è no, non penso possa rinascere un nuovo Ettore! Non dimentichiamo inoltre che nel canto lui metteva tutte le emozioni, le gioie e i dolori che avevano colorato la sua vita! Non era solamente un professionista, ma un uomo che metteva e si metteva in scena.

 

E tu cosa pensi, umilmente, di aver ereditato da lui?

«Ho iniziato ad ascoltare Bastianini con la voce da Basso, e sempre di più ampliava la sua cavità vocale per divenire così con il tempo il grande Baritono che conosciamo, da una tonalità baritonale per approdare a quella tenorile. Resta comunque inteso che la cosa più bella che mi ha lasciato è la speranza di qualsiasi ragazzo che nasce per le strade di una città di provincia, che grazie alla passione, può realizzare qualsiasi sogno!»


 

Non pensiamo ci sia da aggiungere altro sulla figura di questo grande Senese, nulla che non sia già stato detto nelle numerose biografie a lui dedicate. Il ricordo di chi l’ha conosciuto forse rimane l’unico modo per continuare a celebrarlo, con la speranza che un giorno Siena decida di dedicargli un Drappellone, come primo passo verso il ritorno ad un premio lirico annuale a lui dedicato.


 

Andrea Ceccherini


Fotografie di Ettore Bastianini di proprietà dell’Archivio della Contrada della Pantera


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 30 Agosto 2020 dedicato alla Contrada della Pantera


Scendendo verso te...

Se siamo in centro e dobbiamo recarci nel cuore della Contrada della Lupa una delle vie di accesso privilegiate è Via di Vallerozzi.

Personalmente mi ha sempre incuriosito questo nome e la sua origine. Sembra non esserci un’unica sorgente a cui risalire e spulciando tra le pubblicazioni fatte dalla Contrada della Lupa sul suo territorio sono emerse che:

“Per alcuni si fa riferimento ad una famiglia (i Ruozzi), per altri al rappresentante più titolato (Rozzo o Rozo, indicato in alcuni documenti come “Pellicciario”) di una importante casata, i Rognoni. Per altri ancora, invece, la denominazione presa dall’intera vallata era dovuta al fatto che la zona era abitata da numerose famiglie di aretini che, stante le loro modeste condizioni economiche, erano costrette a vivere in ambienti poveri e malsani (probabilmente grotte) e quindi definiti “rozzi”


Passati i due colonnini che separano l’antica via Francigena (l’attuale Via di Montanini), l’occhio si perde in una fuga di lastricato di pietra serena. Ci si prospetta davanti ai nostri piedi una via decisamene ripida che scende in una picchiata pressoché inarrestabile fino a Porta Ovile. Quante volte ho rischiato di sbucciarmi le ginocchia facendola troppo a corsa, soprattutto quando era appena piovuto.

A metà della strada, sulla sinistra, la fila di case si interrompe e si scorge un arco. Si accede ad una via dove nei giorni di festa vi è il posto per appendervi un'unica bandiera. Quello è il Vicolo del Lavatoio, che prende il nome dalle numerose lavandaie che quotidianamente percorrevano il breve vicolo “in ripida pendenza e con breve gradinata a fettoni” per portare i panni delle famiglie benestanti. Percorrere questo breve vicolo costantemente in penombra porta a quella porzione di Contrada che, ai tempi della Repubblica di Siena, si sarebbe chiamata “Borgo Franco”. Quel nome negli archivi del Comune di Siena dell’immediato dopoguerra appartiene a un vicolo che collega, anch’esso in pendenza, le vie di Stufa Secca e Pian d’Ovile. L’appellativo “Borgofranco” in tempi remoti si riferiva “a tutta la collina che discendeva dalla cerchia muraria che costeggiava l’attuale Stufa Secca verso la parte pianeggiante”. Si trattava quindi di una parte di terreno fuori dalle cinta murarie abitato prevalentemente da pastori che si recavano a Siena per la transumanza stagionale. Data la stagionalità del loro soggiorno erano affrancati dal pagare le tasse cittadine.

Il Vicolo di Borgofranco termina il suo percorso costeggiando il lato sinistro della Fonte Nuova.

Difficile spiegare l’impressione che si prova quando la vista incontra la Fonte, dopo che si è abituata al buio del vicolo del Lavatoio. Ci si vede aprire davanti agli occhi la vista di una costruzione monumentale. Questo forse è il primo aggettivo che viene da pensare e più ti avvicini a Fonte Nuova e più se ne è convinti. Perché l’impressione che si ha della Fonte appena la vedi è la seguente: un solido parallelepipedo di mattoni dai bordi a tratti sbeccati e scoloriti, alleggerito da altrettanti imponenti archi a sesto acuto che aprono a due vasche di acqua limpida. Sembra una sentinella, che con sguardo severo domina la vallata sottostante e si sale sulla Casa del Pittore e si accede all’immenso terrazzo, si ha proprio l’idea di montare la guardia.

A volte mi piace pensare a Lei, la Fonte, come ad una vecchia nonna che ci ascolta e si diletta ad osservare generazioni di persone nascere, crescere e correre nei suoi dintorni. Può sembrare un atteggiamento strano dare del “familiare” ad un luogo a cui alla fine hanno accesso tutti. Per gli abitanti del rione, i suoi contradaioli (me compresa) Fontenuova è casa: il suo pratino, la piazza ai suoi piedi sono come il salotto dove mettersi a parlare con le amiche di una vita, riunirsi a cena, festeggiare avvenimenti importanti.

Sorpassati i colonnini di Vallerozzi è come chiudere l’uscio di casa e lasciare il mondo al di fuori. Tutto quello che è successo durante la giornata non ha importanza. Possiamo scendere verso di te: l’animo sospira e dice “Sono a casa”.


Eleonora Sozzi

Bibliografia: Le pietre raccontano. Vallerozzi e dintorni-“I Gemelli. Quaderni della Contrada della Lupa , Seconda Edizione”

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 16 Agosto 2020 dedicato alla Contrada della Lupa

Ettore, un Panterino che conquistò il mondo

  Una Porsche rossa che saliva le curve di San Marco, per arrivare in modo impaziente nel suo Pian dei Mantellini, dove ad attenderlo c’eran...