Nessun sistema
teologico incentrato sulla figura di Gesù di Nazareth può essere elaborato
senza produrre una narrazione della sua vita e per converso, nessuna storia di
Cristo può evitare di dar luogo ad una qualche forma di teologia.
Il principio di ciò
è che il Cristianesimo pone, al centro del proprio sistema di interpretazione
del mondo, un personaggio realmente esistito che può essere inserito in un arco
temporale ben preciso. Di lui si può dire che nacque tra il 4 a.C. e il 6 dell’era volgare,
era di origine galilea, fu predicatore, profeta e annunciatore del “Regno di
Dio” nella Palestina del I sec., guadagnandosi un forte consenso popolare;
morì crocifisso tra il 30 e il 33, ai tempi in cui Caifa rivestiva la carica
di sommo Sacerdote del Tempio e Ponzio Pilato era prefetto della Giudea.
Questi dati sono
stati tratti dai vangeli e da altre fonti antiche, ma non sono sufficienti ad
inquadrarlo in campo storico.
L’esigenza di
comporre dei resoconti relativi alle azioni di Cristo si sviluppò molto presto
con la diffusione dei racconti orali, detti aneddoti, aforismi, poi scritti
secondo una sequenza, assieme tematica e cronologica.
Si fa riferimento a
gli scritti di Luca, che lui stesso definisce “un racconto ordinato”. In realtà
la descrizione dei fatti di Gesù spesso si rivela come un’esigenza di
raccordare la sua figura con prefazioni bibliche del Messia, invece di descriverne
la sua successione, facendo risultare la narrazione lacunosa e delle volte
anche contraddittoria.
Andando avanti con
il tempo si centra la figura di Gesù collegandolo “all’economia” della
salvezza, così si ebbe bisogno di approfondire questa figura e di integrare
l’incompletezza dei testi sacri con altre fonti storiche.
Come si legge in
un’antico testo di San Nilo di Ancira, indirizzato a Olimpodoro, il Sinaita
chiede all’amico di rivolgersi al miglior artista che può trovare, affinché con
la sua arte dipinga i “due lati della
chiesa con scene dell’antico e nuovo Testamento, cosicché gli uomini che non
sanno leggere possano conoscere la Sacra Scrittura, osservando la pittura, e
siano incoraggiati ad emulare le memorabili virtù di questi servitori di Dio”.
L’evoluzione
iconografica di quelle immagini e i modelli che esse produrranno, diventeranno
un vero e proprio repertorio, non solo per i fedeli ma anche per i committenti
e soprattutto per gli artisti che li dovranno realizzare.
A Siena il primo
ciclo cristologico completo e superstite, si trova negli affreschi realizzati
nei locali sotto il Duomo, databili tra il 1270 e il 1280. Altro complesso
figurativo che illustra gli episodi evangelici, sempre presente a Siena lo
troviamo nella parte posteriore della Maestà
di Duccio, commissionata per l’altar maggiore della cattedrale senese e
terminata nel 1311; essa costituirà il modello al quale si ispireranno i
committenti e gli artisti a partire dagli anni venti del Trecento, quando si
dovranno realizzare tavole con il ciclo evangelico di Cristo o anche solo
singoli episodi della vita di Gesù.
Con il passare del
tempo si è avuto uno sviluppo di alcuni temi cristologici anche presso
committenti privati cosicché, accanto a raffigurazioni per decorare edifici
religiosi, troviamo anche dipinti per la decorazione di cappelle o di altari
presso ricchi privati, questo gia’ alla fine del XIII secolo.
Importante
valutazione è che vi è un’importante relazione di queste raffigurazioni con le
attività che si svolgono durante l’anno liturgico, il quale inizia proprio con
l’Avvento e dunque con le festività del ciclo natalizio, che si concludono con
l’Epifania, proseguendo con la Presentazione al Tempio, tutto il tempo della
Quaresima fino alla Pasqua.
Questa parte dell’anno
prende il nome di Temporale, poiché è dedicato alle festività di Cristo che si
conclude con l’ultima domenica dopo la Pentecoste. A questo periodo si integra
il periodo cosiddetto Santorale, che vede le festività dei Santi e della
Madonna.
Fin dal IV secolo,
si hanno delle raffigurazioni che contengono temi come l’Annunciazione, la
Natività, la Strage degli Innocenti e l’Adorazione dei Magi, non tanto per la
loro “storia”, ma quanto per il messaggio salvifico e dottrinale che
contenevano in se.
Le fonti canoniche
principali per le illustrazioni della nascita e dell’infanzia di Cristo sono
Luca e Matteo , tra i due il primo ci fornisce notizie più’ dettagliate circa
questi due momenti della vita di Gesù.
Il primo episodio
che ci viene narrato è appunto l’Annunciazione, e anche se tali raffigurazioni
traggono origine dal Vangelo di Luca, a partire degli inizi del V secolo il
contenuto iconografico di questa scena si arricchisce di particolari narrati
nei testi apocrifi, soprattutto da quanto è riferito nel Protovangelo di
Giacomo. Questo introduce caratteri originali che attraverso i secoli
caratterizzeranno la produzione figurativa di questo soggetto cristologico.
La più antica
illustrazione dell’Annunciazione che ci è stata tramandata a Siena, si trova in
una miniatura all’interno dell’Ordinario della Cattedre del 1215.
Il 25 Marzo per la
commemorazione di quella festività, nella A di Annuntiatio nostri Salvatori, è raffigurata la scena
dell’Annunciazione, nella parte inferiore si trova la Madonna con le mani
giunte in preghiera, con indosso il maphorion
, simbolo della sua verginità, che le copre il capo, dietro il quale è
raffigurata un’aureola; di fronte a lei vi è una pianta fiorita, probabilmente
simbolo di Vita ma anche di albero della tentazione, mettendo così in relazione
Eva e la Madonna, il Peccato Originale e la Redenzione; nell’occhiello
superiore appare l’Arcangelo Gabriele, che con le braccia tese verso Maria
compie il gesto dell’annuncio.
Questa la prima
raffigurazione, che assolve pienamente la funzione di illustrazione del testo
biblico ed è l’inizio di una tradizione iconografica destinata ad imporsi nel
tempo.
Se guardiamo il
primo ciclo di affreschi sotto al Duomo, quello che troviamo è un’iconografia
più tradizionale, poiché i due “attori” sono posti sono l’uno davanti
all’altra con delle quinte architettoniche, che alludono alla città di
Nazareth.
La tavola di Simone
Martini, invece propone elementi nuovi. Eseguita nel 1333 per l’altare di
sant’Ansano del Duomo, è la parte centrale di un polittico; questo fatto
consolida il legame con il programma iconografico della decorazione del
transetto della cattedrale senese, e sottolinea ancora di più la relazione di
questi oggetti con le cerimonie liturgiche svolte durante l’anno.
Sono presenti anche
due figure laterali, sant’Ansano a sinistra e Santa Messina a destra, madrina
di battesimo di Ansano, martirizzata a Roma sotto Diocleziano nel IV secolo;
una novità è anche il ramo di olivo che torna in mano l’ Arcangelo, e ai gigli
posti dentro ad un vaso nella parte centrale, che insieme alle rose sono fiori
del Paradiso e simboleggiano vita e in questo caso simboleggiano luce, anche se
Bernardo di Chiaravalle nel suoi Commentari
questo fiore lo interpreta come simbolo di Cristo, in relazione a tutti i
momenti della sua vita, in questo caso nell’Incarnazione.
L’episodio che
precede la Natività è la Visitazione, che però sia nell’arte figurativa senese
e anche occidentale ha poche varianti, come anche del resto nella tradizione
iconografica bizantina.
Essenzialmente
esistono due varianti della Visitazione, una in cui Elisabetta e la Madonna si
abbracciano e l’altra in cui le due cugine conversano amabilmente con composta
nobiltà. Ovviamente la prima versione è quella più realizzata, come possiamo
ammirare nell’affresco del Sodoma nell’Oratorio di San Bernardino a Siena;
realizzata tra il 1515 e il 1516, raffigura l’emozione che sta per esplodere
tra le due donne, sottolineato dal gesto appassionato e drammatico dell’inchino
di Elisabetta, emozione contenuta invece in tutti gli altri personaggi che sono
alle spalle delle due donne, Giuseppe alle spalle di Maria, Zaccaria alle
spalle di Elisabetta e dei giovani, uomini e donne, che assistono al momento.
Proseguendo nella
lettura del testo evangelico si arriva alla narrazione della Natività di
Cristo.
Trattato molto
sinteticamente sia da Matteo che da Luca, ed è proprio la brevità della
narrazione che ha consentito alla tradizione iconografica cristiana di
arricchire la scena della Natività di particolari che traevano origine sia dai
testi apocrifi, sia dalla produzione letteraria strettamente legata alla
liturgia, partendo da Bernardo di Chiaravalle, fino ad arrivare alla Legenda Aurea, ove Iacopo da Varazze
riprende molte volte il misticismo cistercense di Bernardo.
Così
nell’iconografia della rappresentazione della Natività si assiste ad
un’arricchimento nelle rappresentazioni, che da semplici raffigurazioni ove vi è
un Gesù Bambino in fasce posto dentro ad una mangiatoia, insieme al bue e
l’asinello, diventano scene ricche di personaggi e più complesse di struttura.
Una svolta importante lo dette il Concilio di Efeso del 431, nel quale la
Madonna viene proclamata Theotókos, cioè
Madre di Dio, e che porta alla diffusione di una raffigurazione della Natività,
in cui la Madonna appare in trono col Bambino, ed è proprio a Siena che avviene
ciò. Nel 1215, il miniatore che decorò l’Ordinario della cattedrale ad uso dei
canonici, raffigurò, per illustrare la festività del Natale, una Madonna in trono con il Bambino; e come
per l’Annunciazione, la miniatura è inserita nella lettera N, che significa Nocte
illa sancta e costituisce l’inizio dell’Ufficio della Natività.
La Vergine è seduta
in trono con cuscino e tiene sulle ginocchia Gesù Bambino benedicente, questa è
una raffigurazione molto legata alla liturgia, che si ritrova anche negli
affreschi dei locali sotto il Duomo di Siena.
Nicola Pisano nel
1267 per il pulpito del Duomo invece, rappresenta una scena molto “complessa” ,
ovvero insieme alla Natività , mette
anche l’Annunciazione , la Visitazione e
l’Annuncio ai pastori
I committenti
chiesero a Nicola di raffigurare la Natività secondo la tradizione figurativa
orientale, mostrando in primo piano il Bagno
di Gesù con le sue levatrici. La composizione vede una Madonna posta al
centro, distesa su di un cuscino, avvolta nel suo maphorion, e con la testa voltata verso sinistra, come una donna
appena uscita dalla sofferenza del parto; questi elementi rendono la Madonna
più umana, facendoli perdere quella “maestà” che aveva nelle raffigurazioni più
antiche.
Gesù è avvolto in
fasce, all’interno di una grotta gli fanno caldo il bue e l’asinello; tutti
questi elementi hanno riscontro sia nella letteratura cristiana sia canonica
che apocrifa, ed hanno dei significati ben precisi: la grotta è in relazione
con il sepolcro che accoglierà Cristo dopo la sua morte, ma anche con l’Ade ove
Gesù scenderà dopo la Resurrezione; il bue e l’asinello, in principio
rappresentano l’umanità di Dio nato sulla terra.
Come detto sopra,
in primo piano vi è il Bagno di Cristo,
la cui fonte si trova nel Protovangelo di
Giacomo, ma anche nel Vangelo dello
pseudo-Matteo ed è rielaborata nella Leggenda
Aurea di Jacopo da Varazze. Questo episodio viene raccontato anche nei
vangeli apocrifi, e simboleggia la natura umana di Cristo.
Questa variante si
trova spesso nella produzione figurativa senese, anche in epoche diverse, come
si vede in un frammento di un’affresco in monocromo, facente parte di un ciclo
cristologico scoperto nella Chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano, eseguito
da Bartolo di Fredi negli anni sessanta del Trecento.
Qui il bambino è
rappresentato una sola volta, nel catino, mentre le levatrici gli fanno il
bagno, la mangiatoia è all’interno della grotta vuota, e sono presenti, a
destra, i pastori che rappresentano l’Annuncio
ai pastori.
Un caso particolare
riguardante la raffigurazione della Natività, sta nella tavola che era
collocata all’altare di San Vittore nel Duomo di Siena, poiché rientrava nel
programma iconografico della decorazione degli altari dei Santi Patroni; da
alcune testimonianze sappiamo che all’altare di San Vittore vi era una
Natività, segnalata nel 1575 da Monsignor Francesco Bossi, durante la sua
Visita Pastorale.
Nel 1591,
nell’inventario, troviamo scritto che all’altare di San Vittore vi era una
tavola attribuita a Bartolomeo Bulgarini, dipinta tra il 1351 e il 1361.
Questa aveva due
pannelli laterali su uno dei quali era rappresentato il santo Titolato a figura
intera, e nell’altra la Santa Corona.
Dalla seconda metà
del XV secolo alla prima metà del secolo successivo, vi è un cambiamento dato
dalla sostituzione della grotta con elementi architettonici classici o rovine
di edifici; si vede quindi la Madonna insieme ad un pensieroso San Giuseppe e
due angeli, uno dei quali è l’Arcangelo Gabriele, protettore fin dalla nascita
di Giovanni Battista, anche lui figura presente da questo momento in poi, nella
scena della Natività è che sta a preannunciare l’incontro con Cristo, sul fiume
Giordano ed il suo Battesimo.
Concludo questa
rassegna “Natalizia” con un’opera tutta senese, realizzata da Domenico
Beccafumi, verso il 1522, per l’altare di San Giuseppe, di patronato della
Figlia Marsili, che si trova nella chiesa di San Martino a Siena.
Qui i protagonisti sono
raccolti nei pressi di un’arco di trionfo; tra bagliori rossastri che si
stemperano in un tenue azzurrino dello sfondo, giungono i pastori in fila
ordinata e in prima battuta vi sono gli “attori” principali che risaltano per
la vivacità dei colori e il calore che emanano le loro gesta, un San Giuseppe,
che ricorda molto la figura di San Paolo che proprio Beccafumi aveva realizzato
qualche anno prima per la cappella di San Paolo nel Tribunale della Mercanzia a
Siena, rivolto al Bambino, con il suo
sguardo attento e protettivo; una Madonna che, con un gesto quasi pauroso,
svela il suo frutto, con sguardo amorevole e assorto, che Gesù contraccambia,
il suo corpo fanciullesco ama a una luce mistica.
Su tutti, come in
un rito magico, incombono quattro angeli seminudi, che formano con le loro
braccia un cerchio perfetto, che ci ricorda prima gli angeli di Rosso
Fiorentino, e poi la Danza di
Henrique Matisse agli inizi del Novecento, al cui centro plana la colomba dello
Spirito Santo.
Il modello
iconografico che vediamo qui, con la Madonna che scopre Gesù, ricorda alcuni
dipinti di Raffaello come la cosiddetta Madonna
del velo, anche se qui il Beccafumi, usa un linguaggio figurativo più’
nervoso, raffinato
e distaccato.
Caterina Manganelli
per le opere raffigurate si ringraziano le famiglie dei rispettivi autori
ARTICOLO TRATTO DAL NOTIZIARIO DEL FORUMME DEL 25 DICEMBRE 2020