domenica 17 dicembre 2023

Iconografia evangelica senese: l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività

Opera di Riccardo Manganelli
Nessun sistema teologico incentrato sulla figura di Gesù di Nazareth può essere elaborato senza produrre una narrazione della sua vita e per converso, nessuna storia di Cristo può evitare di dar luogo ad una qualche forma di teologia.

Il principio di ciò è che il Cristianesimo pone, al centro del proprio sistema di interpretazione del mondo, un personaggio realmente esistito che può essere inserito in un arco temporale ben preciso. Di lui si può dire che nacque tra il 4 a.C. e il 6 dell’era volgare, era di origine galilea, fu predicatore, profeta e annunciatore del “Regno di Dio” nella Palestina del I sec., guadagnandosi un forte consenso popolare; morì crocifisso tra il 30 e il 33, ai tempi in cui Caifa rivestiva la carica di sommo Sacerdote del Tempio e Ponzio Pilato era prefetto della Giudea.

Questi dati sono stati tratti dai vangeli e da altre fonti antiche, ma non sono sufficienti ad inquadrarlo in campo storico.

L’esigenza di comporre dei resoconti relativi alle azioni di Cristo si sviluppò molto presto con la diffusione dei racconti orali, detti aneddoti, aforismi, poi scritti secondo una sequenza, assieme tematica e cronologica.

Si fa riferimento a gli scritti di Luca, che lui stesso definisce “un racconto ordinato”. In realtà la descrizione dei fatti di Gesù spesso si rivela come un’esigenza di raccordare la sua figura con prefazioni bibliche del Messia, invece di descriverne la sua successione, facendo risultare la narrazione lacunosa e delle volte anche contraddittoria.

Andando avanti con il tempo si centra la figura di Gesù collegandolo “all’economia” della salvezza, così si ebbe bisogno di approfondire questa figura e di integrare l’incompletezza dei testi sacri con altre fonti storiche.

Come si legge in un’antico testo di San Nilo di Ancira, indirizzato a Olimpodoro, il Sinaita chiede all’amico di rivolgersi al miglior artista che può trovare, affinché con la sua arte dipinga i “due lati della chiesa con scene dell’antico e nuovo Testamento, cosicché gli uomini che non sanno leggere possano conoscere la Sacra Scrittura, osservando la pittura, e siano incoraggiati ad emulare le memorabili virtù di questi servitori di Dio”.

L’evoluzione iconografica di quelle immagini e i modelli che esse produrranno, diventeranno un vero e proprio repertorio, non solo per i fedeli ma anche per i committenti e soprattutto per gli artisti che li dovranno realizzare.

A Siena il primo ciclo cristologico completo e superstite, si trova negli affreschi realizzati nei locali sotto il Duomo, databili tra il 1270 e il 1280. Altro complesso figurativo che illustra gli episodi evangelici, sempre presente a Siena lo troviamo nella parte posteriore della Maestà di Duccio, commissionata per l’altar maggiore della cattedrale senese e terminata nel 1311; essa costituirà il modello al quale si ispireranno i committenti e gli artisti a partire dagli anni venti del Trecento, quando si dovranno realizzare tavole con il ciclo evangelico di Cristo o anche solo singoli episodi della vita di Gesù.

Con il passare del tempo si è avuto uno sviluppo di alcuni temi cristologici anche presso committenti privati cosicché, accanto a raffigurazioni per decorare edifici religiosi, troviamo anche dipinti per la decorazione di cappelle o di altari presso ricchi privati, questo gia’ alla fine del XIII secolo.

Importante valutazione è che vi è un’importante relazione di queste raffigurazioni con le attività che si svolgono durante l’anno liturgico, il quale inizia proprio con l’Avvento e dunque con le festività del ciclo natalizio, che si concludono con l’Epifania, proseguendo con la Presentazione al Tempio, tutto il tempo della Quaresima fino alla Pasqua.

Questa parte dell’anno prende il nome di Temporale, poiché è dedicato alle festività di Cristo che si conclude con l’ultima domenica dopo la Pentecoste. A questo periodo si integra il periodo cosiddetto Santorale, che vede le festività dei Santi e della Madonna.

Fin dal IV secolo, si hanno delle raffigurazioni che contengono temi come l’Annunciazione, la Natività, la Strage degli Innocenti e l’Adorazione dei Magi, non tanto per la loro “storia”, ma quanto per il messaggio salvifico e dottrinale che contenevano in se.

Le fonti canoniche principali per le illustrazioni della nascita e dell’infanzia di Cristo sono Luca e Matteo , tra i due il primo ci fornisce notizie più’ dettagliate circa questi due momenti della vita di Gesù.

Il primo episodio che ci viene narrato è appunto l’Annunciazione, e anche se tali raffigurazioni traggono origine dal Vangelo di Luca, a partire degli inizi del V secolo il contenuto iconografico di questa scena si arricchisce di particolari narrati nei testi apocrifi, soprattutto da quanto è riferito nel Protovangelo di Giacomo. Questo introduce caratteri originali che attraverso i secoli caratterizzeranno la produzione figurativa di questo soggetto cristologico.

La più antica illustrazione dell’Annunciazione che ci è stata tramandata a Siena, si trova in una miniatura all’interno dell’Ordinario della Cattedre del 1215.

Opera di Adige Bartalozzi

Il 25 Marzo per la commemorazione di quella festività, nella A di Annuntiatio nostri Salvatori, è raffigurata la scena dell’Annunciazione, nella parte inferiore si trova la Madonna con le mani giunte in preghiera, con indosso il maphorion , simbolo della sua verginità, che le copre il capo, dietro il quale è raffigurata un’aureola; di fronte a lei vi è una pianta fiorita, probabilmente simbolo di Vita ma anche di albero della tentazione, mettendo così in relazione Eva e la Madonna, il Peccato Originale e la Redenzione; nell’occhiello superiore appare l’Arcangelo Gabriele, che con le braccia tese verso Maria compie il gesto dell’annuncio.

Questa la prima raffigurazione, che assolve pienamente la funzione di illustrazione del testo biblico ed è l’inizio di una tradizione iconografica destinata ad imporsi nel tempo.

Se guardiamo il primo ciclo di affreschi sotto al Duomo, quello che troviamo è un’iconografia più tradizionale, poiché i due “attori” sono posti sono l’uno davanti all’altra con delle quinte architettoniche, che alludono alla città di Nazareth.

La tavola di Simone Martini, invece propone elementi nuovi. Eseguita nel 1333 per l’altare di sant’Ansano del Duomo, è la parte centrale di un polittico; questo fatto consolida il legame con il programma iconografico della decorazione del transetto della cattedrale senese, e sottolinea ancora di più la relazione di questi oggetti con le cerimonie liturgiche svolte durante l’anno.

Sono presenti anche due figure laterali, sant’Ansano a sinistra e Santa Messina a destra, madrina di battesimo di Ansano, martirizzata a Roma sotto Diocleziano nel IV secolo; una novità è anche il ramo di olivo che torna in mano l’ Arcangelo, e ai gigli posti dentro ad un vaso nella parte centrale, che insieme alle rose sono fiori del Paradiso e simboleggiano vita e in questo caso simboleggiano luce, anche se Bernardo di Chiaravalle nel suoi Commentari questo fiore lo interpreta come simbolo di Cristo, in relazione a tutti i momenti della sua vita, in questo caso nell’Incarnazione.

L’episodio che precede la Natività è la Visitazione, che però sia nell’arte figurativa senese e anche occidentale ha poche varianti, come anche del resto nella tradizione iconografica bizantina.

Essenzialmente esistono due varianti della Visitazione, una in cui Elisabetta e la Madonna si abbracciano e l’altra in cui le due cugine conversano amabilmente con composta nobiltà. Ovviamente la prima versione è quella più realizzata, come possiamo ammirare nell’affresco del Sodoma nell’Oratorio di San Bernardino a Siena; realizzata tra il 1515 e il 1516, raffigura l’emozione che sta per esplodere tra le due donne, sottolineato dal gesto appassionato e drammatico dell’inchino di Elisabetta, emozione contenuta invece in tutti gli altri personaggi che sono alle spalle delle due donne, Giuseppe alle spalle di Maria, Zaccaria alle spalle di Elisabetta e dei giovani, uomini e donne, che assistono al momento.

Proseguendo nella lettura del testo evangelico si arriva alla narrazione della Natività di Cristo.

Trattato molto sinteticamente sia da Matteo che da Luca, ed è proprio la brevità della narrazione che ha consentito alla tradizione iconografica cristiana di arricchire la scena della Natività di particolari che traevano origine sia dai testi apocrifi, sia dalla produzione letteraria strettamente legata alla liturgia, partendo da Bernardo di Chiaravalle, fino ad arrivare alla Legenda Aurea, ove Iacopo da Varazze riprende molte volte il misticismo cistercense di Bernardo.

Così nell’iconografia della rappresentazione della Natività si assiste ad un’arricchimento nelle rappresentazioni, che da semplici raffigurazioni ove vi è un Gesù Bambino in fasce posto dentro ad una mangiatoia, insieme al bue e l’asinello, diventano scene ricche di personaggi e più complesse di struttura. Una svolta importante lo dette il Concilio di Efeso del 431, nel quale la Madonna viene proclamata Theotókos, cioè Madre di Dio, e che porta alla diffusione di una raffigurazione della Natività, in cui la Madonna appare in trono col Bambino, ed è proprio a Siena che avviene ciò. Nel 1215, il miniatore che decorò l’Ordinario della cattedrale ad uso dei canonici, raffigurò, per illustrare la festività del Natale, una Madonna in trono con il Bambino; e come per l’Annunciazione, la miniatura è inserita nella lettera N, che significa  Nocte illa sancta e costituisce l’inizio dell’Ufficio della Natività.

La Vergine è seduta in trono con cuscino e tiene sulle ginocchia Gesù Bambino benedicente, questa è una raffigurazione molto legata alla liturgia, che si ritrova anche negli affreschi dei locali sotto il Duomo di Siena.

Nicola Pisano nel 1267 per il pulpito del Duomo invece, rappresenta una scena molto “complessa” , ovvero insieme alla Natività , mette anche l’Annunciazione , la Visitazione e l’Annuncio ai pastori

I committenti chiesero a Nicola di raffigurare la Natività secondo la tradizione figurativa orientale, mostrando in primo piano il Bagno di Gesù con le sue levatrici. La composizione vede una Madonna posta al centro, distesa su di un cuscino, avvolta nel suo maphorion, e con la testa voltata verso sinistra, come una donna appena uscita dalla sofferenza del parto; questi elementi rendono la Madonna più umana, facendoli perdere quella “maestà” che aveva nelle raffigurazioni più antiche.

Gesù è avvolto in fasce, all’interno di una grotta gli fanno caldo il bue e l’asinello; tutti questi elementi hanno riscontro sia nella letteratura cristiana sia canonica che apocrifa, ed hanno dei significati ben precisi: la grotta è in relazione con il sepolcro che accoglierà Cristo dopo la sua morte, ma anche con l’Ade ove Gesù scenderà dopo la Resurrezione; il bue e l’asinello, in principio rappresentano l’umanità di Dio nato sulla terra.

Come detto sopra, in primo piano vi è il Bagno di Cristo, la cui fonte si trova nel Protovangelo di Giacomo, ma anche nel Vangelo dello pseudo-Matteo ed è rielaborata nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Questo episodio viene raccontato anche nei vangeli apocrifi, e simboleggia la natura umana di Cristo.

Questa variante si trova spesso nella produzione figurativa senese, anche in epoche diverse, come si vede in un frammento di un’affresco in monocromo, facente parte di un ciclo cristologico scoperto nella Chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano, eseguito da Bartolo di Fredi negli anni sessanta del Trecento.

Qui il bambino è rappresentato una sola volta, nel catino, mentre le levatrici gli fanno il bagno, la mangiatoia è all’interno della grotta vuota, e sono presenti, a destra, i pastori che rappresentano l’Annuncio ai pastori.

Un caso particolare riguardante la raffigurazione della Natività, sta nella tavola che era collocata all’altare di San Vittore nel Duomo di Siena, poiché rientrava nel programma iconografico della decorazione degli altari dei Santi Patroni; da alcune testimonianze sappiamo che all’altare di San Vittore vi era una Natività, segnalata nel 1575 da Monsignor Francesco Bossi, durante la sua Visita Pastorale.

Nel 1591, nell’inventario, troviamo scritto che all’altare di San Vittore vi era una tavola attribuita a Bartolomeo Bulgarini, dipinta tra il 1351 e il 1361.

Questa aveva due pannelli laterali su uno dei quali era rappresentato il santo Titolato a figura intera, e nell’altra la Santa Corona.

Dalla seconda metà del XV secolo alla prima metà del secolo successivo, vi è un cambiamento dato dalla sostituzione della grotta con elementi architettonici classici o rovine di edifici; si vede quindi la Madonna insieme ad un pensieroso San Giuseppe e due angeli, uno dei quali è l’Arcangelo Gabriele, protettore fin dalla nascita di Giovanni Battista, anche lui figura presente da questo momento in poi, nella scena della Natività è che sta a preannunciare l’incontro con Cristo, sul fiume Giordano ed il suo Battesimo.

Concludo questa rassegna “Natalizia” con un’opera tutta senese, realizzata da Domenico Beccafumi, verso il 1522, per l’altare di San Giuseppe, di patronato della Figlia Marsili, che si trova nella chiesa di San Martino a Siena.

Qui i protagonisti sono raccolti nei pressi di un’arco di trionfo; tra bagliori rossastri che si stemperano in un tenue azzurrino dello sfondo, giungono i pastori in fila ordinata e in prima battuta vi sono gli “attori” principali che risaltano per la vivacità dei colori e il calore che emanano le loro gesta, un San Giuseppe, che ricorda molto la figura di San Paolo che proprio Beccafumi aveva realizzato qualche anno prima per la cappella di San Paolo nel Tribunale della Mercanzia a Siena,  rivolto al Bambino, con il suo sguardo attento e protettivo; una Madonna che, con un gesto quasi pauroso, svela il suo frutto, con sguardo amorevole e assorto, che Gesù contraccambia, il suo corpo fanciullesco ama a una luce mistica.

Su tutti, come in un rito magico, incombono quattro angeli seminudi, che formano con le loro braccia un cerchio perfetto, che ci ricorda prima gli angeli di Rosso Fiorentino, e poi la Danza di Henrique Matisse agli inizi del Novecento, al cui centro plana la colomba dello Spirito Santo.

Il modello iconografico che vediamo qui, con la Madonna che scopre Gesù, ricorda alcuni dipinti di Raffaello come la cosiddetta Madonna del velo, anche se qui il Beccafumi, usa un linguaggio figurativo più’ nervoso, raffinato e distaccato.

 

Caterina Manganelli

per le opere raffigurate si ringraziano le famiglie dei rispettivi autori

Opera di Giovanni Terzo Vannucchi

ARTICOLO TRATTO DAL NOTIZIARIO DEL FORUMME DEL 25 DICEMBRE 2020


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