Un importante
intervento edilizio nella strada maestra di Camollia fu la costruzione, negli
anni Venti del sec. XVI, della cappella dedicata alla Presentazione della
Vergine, volgarmente detta di San Donnino, a fianco della chiesa parrocchiale
di San Pietro alla Magione, a quel tempo appartenente ai cavalieri
Gerosolimitani. L’edificazione della cappella fu probabilmente correlata a una
grave pestilenza subita a Siena, in particolare in quella zona. Nel 1523 sull’altare
veniva trasferita – lo annota Sigismondo Tizio, cronista e sacerdote, a quel
tempo abitante in Camollia - l’immagine della Madonna col Bambino, già dipinta ad affresco sulla parete esterna
del cimitero annesso alla Magione. Il nuovo edificio, terminato nel 1526, è
attribuito a Bartolomeo Neroni detto il Riccio su disegno di Baldassarre
Peruzzi. Durante la visita apostolica del 1575 l’arcivescovo Francesco Bossi
aveva stabilito che fosse vietato celebrarvi la messa, finché fosse rimasto
aperto sul fronte. Attorno al 1623 la Contrada dell’Istrice iniziò a ufficiare
questa cappella: il piccolo edificio fu così chiuso con una parete in muratura.
Dalla visita pastorale del 1670 si ha notizia che gli uomini della Contrada vi
si adunavano regolarmente.
Girolamo Macchi, erudito senese che compilava le sue “Memorie” fra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, annotava che nel 1709 gli Istriciaioli lasciavano la cappella di San Donnino e passavano nel vicino oratorio della compagnia laicale della Madonna di Fontegiusta, alla quale donavano 50 talleri e un bacile d’argento, cioè i premi del palio vinto nell’agosto di quell’anno. L’Istrice conseguiva quel palio - fatto ricorrere dalla Torre - con il cavallo Stornello di Siena, il fantino Giovan Maria, il priore Giuseppe Amadori e il capitano Anton Maria Amadori.
La chiesa in cui la Contrada dell’Istrice veniva ospitata apparteneva a una compagnia laicale che l’aveva edificata in forme ‘grandiose’ nel secondo Quattrocento. Qui c’era davvero spazio sia per i confratelli che per gli uomini della contrada: un altare fu così lasciato all’ufficiatura dell’Istrice. Tuttavia, convivenze di questo tipo furono raramente pacifiche: questioni di prestigio e preminenza, di culto e talvolta economiche inquinavano spesso i rapporti. La tensione fra Istriciaioli e confratelli di Fontegiusta portò alla rottura nel marzo del 1733, in quanto i membri della confraternita non vollero che il parroco della Magione celebrasse nel loro oratorio le Quarantore, benché fosse stato invitato dalla Contrada. Gli Istriciaioli furono così spinti a cercarsi un’altra sede e si rivolsero a don Michelangiolo Morandi, parroco di Santo Stefano alla Lizza dall’ottobre 1708 (lo sarà fino alla morte avvenuta il 10 agosto 1735), il quale aveva giurisdizione anche su San Bartolomeo Apostolo alle Castellaccia.
Qui merita
aprire una breve parentesi su San Bartolomeo Apostolo, chiesa oggi scomparsa, situata
accanto alla Porta Camollia, dove oggi è la piazza Chigi Saracini, sul lato
sinistro per chi esce dalla Porta. Attestata come parrocchia fin dal 1226, quando
tutta questa area attualmente quasi priva di edifici era invece densamente
popolata fino alle mura, la chiesa aveva subito pesanti danni nel corso
dell’assedio di Siena del 1554. Il pessimo stato e la mancanza dei necessari lavori
di rifacimento (“ecclesia diruta tempore belli senensis nec unquam fuit
restaurata”) erano stati sanzionati con una severa reprimenda nel 1575 dall’arcivescovo
Francesco Bossi. Il parroco ser Antonio di Domenico “dei Petri”, da lui
interrogato, aveva però risposto che avrebbe voluto restaurare la chiesa ma che
gli era stato proibito dal granduca e dal governatore, i quali volevano
allargare la strada e fare altri lavori in quella zona. Ser Antonio aveva
dichiarato all’arcivescovo Bossi che le sei famiglie appartenenti alla
parrocchia e abitanti all’interno della porta erano passate nella cura della
Magione, mentre lui stesso continuava ad occuparsi dei parrocchiani che abitavano
fuori della Porta. Il Bossi gli ordinò di procedere comunque al restauro e, in
caso vi fossero difficoltà, di riferire al visitatore o all’Ordinario. Tuttavia, la chiesa di San Bartolomeo
continuò ad essere malmessa, tanto che decadde da parrocchia con l’annessione a
Santo Stefano alla Lizza. Nonostante le condizioni in cui si trovava, fu
accettata come nuova sede dagli Istriciaioli intenzionati ad allontanarsi da
Fontegiusta. L’accordo fu sanzionato con un atto notarile stipulato nella curia
arcivescovile il 15 dicembre 1733. Quattro anni dopo, nel 1737, la Contrada
otteneva in restituzione i tre drappelloni dei palii vinti nel luglio 1716, nel
luglio 1721 e nel luglio 1726 che erano rimasti in Fontegiusta.
Nella relazione
inviata nel 1739 alla Balìa di Siena e alla Consulta di Firenze, il priore dell’Istrice Giovanni Soldani così
riassumeva i ‘viaggi’ da una chiesa all’altra del territorio che avevano
caratterizzato la storia passata della
Contrada da lui governata e che erano finalmente terminati grazie all’atto di
donazione del parroco, confermato dal pontefice regnante: “La Contrada
dell’Istrice avendo dimorato per molti anni nella chiesa della Madonna del
Belverde, a lato della chiesa parrocchiale di San Pietro alla Magione, e poi
per cinquanta e più anni nella chiesa di Fontegiusta, e dall’anno 1733 in qua
dimorano nella chiesa di San Bartolomeo apostolo, chiesa parrocchiale annessa alla
cura di Santo Stefano, come per donagione fatta dal reverendo signore don
Angiolo Morandi, rettore di detta parrocchia e per indulto apostolico di nostro
signore papa Clemente XII”.
Il Soldani precisava
anche che la Contrada teneva in affitto una casetta a lato della “nostra chiesa”;
credo per abitazione del custode. L’onoranda sedia nel 1739 era composta, oltre
che dal priore, dal vicario Giuseppe Posi, dai consiglieri Felice Pazzagli e
Francesco Fantini, dal camerlengo Salvadore Rensi, dal maestro dei novizi
Antonio Frittelli, dai sagrestani Angiolo Canavai e Gaetano Daviddi, dal custode
Antonio Cellesi. Le cariche dimostrano, se ci fosse bisogno, l’importanza della
presenza dell’oratorio nella vita di qualsiasi contrada.
Tuttavia, la
permanenza dell’Istrice in San Bartolomeo non fu così lunga e le peregrinazioni
non erano ancora terminate, come invece si era augurato il priore Soldani. San
Bartolomeo alle Castellaccia era davvero in pessime condizioni, pertanto nel
1788 la Contrada chiese e ottenne in possesso definitivo la chiesa dei Santi
Vincenti e Anastasio, già antica parrocchia soppressa qualche anno prima. Comunque
la Contrada mutava il nome del suo nuovo oratorio in San Bartolomeo, sia per
mantenere la devozione all’Apostolo, sia per ricordare la chiesetta nella
Castellaccia in cui era approdata con tanto entusiasmo negli anni Trenta del
secolo XVIII.
La chiesa di San
Bartolomeo fu ulteriormente gravemente danneggiata dal terribile terremoto del
26 maggio 1798. Il suo destino era inesorabilmente segnato: così fu ridotta a
magazzino dall’acquirente Ferdinando Pieri.
Della chiesa
accanto a Porta Camollia oggi del tutto scomparsa rimangono alcune memorie
nella sede museale dell’Istrice, come la grande tela con Il martirio di San Bartolomeo, di scuola napoletana del XVII secolo.
La Contrada ha voluto sottolineare la sua continuata devozione all’apostolo
Bartolomeo, collocandone sull’altare di destra dell’oratorio la statua lignea,
opera del 1932 di Torquato Casciani.
Patrizia Turrini
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