venerdì 28 giugno 2024

La Fontanina della Contrada della Chiocciola

 

“Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita.” (O.Wilde)

La storia è custode della memoria di un territorio ed è grazie ad essa che è possibile sviluppare un senso d’identità collettiva, quella appartenenza che lega indissolubilmente persone a luoghi, cuori a pietre, emozioni che sovrastano il tempo.

Questa è la storia di una rinnovata passione, della forte volontà di rafforzare un antico legame, di tramandare la “fede dei nostri avi” e renderla immortale. Racchiude in sé molto di più di una narrazione di cronaca, racconta l’elezione, l’appartenenza, la salda volontà di lasciare un segno tangibile che faccia rivivere vincoli antichi. Mai sottomessi, mai domi, ma sempre fieri e orgogliosi.

Questa è la storia di un respiro unisono, è la storia della Fontanina.

La sua testimonianza è doveroso lasciarla alle parole di colui che ne è stato fervente protagonista e che ha lasciato il segno non solo per la sua amata Contrada ma per tutta Siena: Victor Hugo Zalaffi, fervente contradaiolo della Chiocciola e, all’epoca, economo della stessa. Ideatore, insieme all’allora Priore Orlando Peccianti, della Sezione Piccoli Chiocciolini (nata soprattutto allo scopo di insegnare ai bambini a suonare il tamburo e a girare la bandiera) di cui fu Presidente per ben 20 anni, dal 1933 al 1953, organizzando un incredibile numero di attività per i bambini tra cui gite extra moenia e doposcuola. Istituì la Compagnia teatrale delle giovani attrici portandole con grande successo sui più importanti palcoscenici di Siena.

“Il giorno 30 Maggio 1930, causa principale una grandissima crisi industriale ed artigiana che si era abbattuta negli anni 1929 e 1930 nell’Italia e all’estero, ed in seguito pure ad alcune divergenze in seno alla mia famiglia, con immenso dolore fui costretto a dimettermi da direttore della officina artigiana della lavorazione del ferro battuto, lavorazione da me iniziata da giovinetto sotto l’insegnamento di mio padre deceduto nell’anno 1926, lasciando il tutto nelle mani dei miei congiunti e cercando, per me, una nuova occupazione. Grazie all’interessamento dell’amico carissimo, Sig. Orlando Peccianti, Priore della Contrada della Chiocciola, il quale era da molto tempo a conoscenza della mia situazione, nel mese di Giugno del 1930 potei ottenere un contratto con la Società Belga, proprietaria dell’officina del Gas di Siena, per l’appalto dell’esattoria.

Il giorno 1° Luglio del 1930 quindi iniziai il nuovo lavoro ed il giorno 16, recandomi in via Pantaneto, a piano terra del palazzo dove attualmente trovansi gli uffici della Previdenza Sociale, mi presentai nello studio del Prof. Fulvio Corsini, artista da me ben conosciuto per avergli più volte eseguito alcuni lavori in ferro battuto da lui stesso disegnati. Dopo una lunga chiacchierata sulle cause dell’abbandono dell’arte avita e sul nuovo lavoro che stavo svolgendo egli mi fece visitare il suo studio, dove si trovavano molti suoi lavori in gesso, e fu con viva curiosità che mi soffermai, maggiormente, ad ammirare un suo lavoro composto da una grande chiocciola con putto a cavallo della medesima.

Con la mia meraviglia e rallegrandomi con il Professore, questi essendo a conoscenza che da tempo ricoprivo la carica di Economo della Contrada della Chiocciola, e cioè dall’anno 1925, mi propose una sua idea e cioè far fondere quella sua opera in bronzo per costruire una fontanina e collocarla presso la piazzetta antistante la Sede della Contrada.

Essendo a conoscenza delle condizioni finanziarie della Contrada, dopo le grandiose vittorie riportate nella Piazza del Campo negli anni 1924-1925-1926, e le cifre, purtroppo grosse per quei tempi, che erano rimaste da pagare, con garbo promisi al Professore che della proposta avrei parlato nella più prossima adunanza, ai componenti il Seggio. La sera stessa ne parlai al Priore, Sig. Orlando Peccianti e dopo alcuni giorni, feci il possibile di accompagnarlo a visitare lo studio del Prof. Corsini ad ammirare la bellissima opera in gesso.

Il Peccianti, pur rimanendo entusiasta del lavoro ed ascoltando tutte le belle parole del Professore, il quale pur di fondere in bronzo l’opera prometteva di venire incontro alla Contrada, non potè impegnarsi e con me salutò l’ospite promettendogli di studiare la cosa.

Passarono alcuni anni ed io, visitando ogni mese lo studio del Corsini, ogni volta tornavamo sull’argomento “fontanina”.


Nella primavera dell’anno 1933, il Peccianti su mie insistenze ottenne l’approvazione in una adunanaza di Seggio, a dare vita ad una Sezione per i bambini della Contrada e quale Economo della Contrada stessa ebbi l’incarico della organizzazione e la nomina a Presidente.”

Segue una breve descrizione della nascita della nuova “Istituzione Contradaiola” con la cerimonia organizzata, il suo programma ed i nomi dei primi Piccoli Chiocciolini iscritti. La Sezione Piccoli Chiocciolini fu la prima istituzione nata a Siena per “accompagnare” i bambini nel loro percorso contradaiolo, e rappresenta ancora oggi, un importantissimo cardine della Contrada. Tralascio la sua storia in questo contesto perché, anche se strettamente connessa, rischierei di non darli il giusto valore o di non dare giusta voce alla nostra Fontanina.

Riprende Victor Hugo Zalaffi:

“Nei primi mesi dell’anno 1934, il Prof Corsini mi consegnò il bozzetto della fontanina affinchè potesse essere veduto ed approvato dai componenti il Seggio, bozzetto che trovasi, ancora oggi, presso la sede della Contrada. Il bozzetto venne senz’altro approvato; mancavano soltanto i soldi per far eseguire il lavoro.

In quegli anni la vita della Sezione Piccoli era fiorente; oltre cento bambini di ambo i sessi, frequentavano i locali sociali prendendo parte a tutte le manifestazioni contradaiole.

Al Priore Peccianti venne l’idea di far iniziare ai piccoli la raccolta dei fondi “Pro Fontanina” affidandomene l’incarico. Con una adunanza generale li chiamai unitamente ai propri familiari, comunicando loro l’idea geniale del nostro Priore ed iniziando una gara fra maschi e femmine, ritrovandosi ogni settimana, il sabato sera, per quella raccolta di soldi.

Il Signor Balò Adamo, Vice Cancelliere della Contrada, di professione fotografo, a proprie spese eseguì la fotografia del bozzetto della fontanina facendo stampare alcune centinaia di copie formato cartolina inviate, a mia volta, ai genitori dei bambini iscritti alla Sezione e ad oltre duecento benemeriti dell’Istituzione che mensilmente pagavano una quota volontariamente da essi sottoscritta, a favore della Sezione Piccoli Chiocciolini.”

Il 13 agosto 1935 si spense improvvisamente Orlando Peccianti e venne nominato Priore il Cav. Guido Tuci. Nel 1936 rinacque la Società fra i contradaioli col nuovo nominativo “Dopolavoro la Chiocciola” (Presidente il Sig. Rinaldi Alfio). La Sezione si affiancò al Dopolavoro condividendo i medesimi locali.


“Continuando la raccolta dei soldi, eseguita come sopra detto ogni sabato dai piccoli della Sezione, finalmente nel mese di Giugno dell’anno 1937 consegnai, nelle mani del Prof. Corsini, la somma occorrente per far eseguire la fusione in bronzo dell’opera sua.

Il Corsini di persona si recò a Firenze, a tutte sue spese, per assistere la fusione. Il giorno 19 Settembre 1937 mi venne consegnato il bellissimo bronzo che deposi presso i locali della Contrada. Ora bisognava continuare la raccolta dei soldi per far eseguire la base in travertino e le spese della festa per l’inaugurazione.

La “Fontanina” non poteva essere più collocata sulla parete destra della piazzetta, causa l’apertura di un porta per la nuova cancelleria e, comunicato questo al Professore egli si mise al lavoro per eseguire una diversa sistemazione. Ma il lavoro non fu portato a termine perché una terribile malattia colpì il Corsini il quale, come il Priore Peccianti, non potè giungere a vedere realizzato il suo sogno tanto desiderato.

Il giorno 16 Agosto 1938, la Contrada della Chiocciola riportò la sua 45° Vittoria sulla Piazza del Campo con il cavallo “Sansano” ed il fantino “Tripoli”.

Nei giorni dei festeggiamenti, e cioè il 18 e 19 Settembre, presso la Piazzetta della Contrada venne esposto il bronzo della “Fontanina” […] Continuando a ritrovarsi ogni fine settimana per la “Pro Fontanina”, alla fine dell’anno 1939 la somma di denaro che trovavasi in cassa si avvicinava, a gran passi, alla cifra occorrente per affrontare le spese preventivate per il basamento di travertino e per festeggiare degnamente il grande avvenimento.

Tutto era pronto per l’esecuzione di questa base quando ebbe inizio la seconda guerra mondiale. Nella cassa “Pro Fontanina” vi si trovava la somma di £ 14.489,55, somma non indifferente a quei tempi. La guerra continuava e nessuno poteva prevedere quando sarebbe finita. Nell’anno 1943, il Marchese De Grolèe Virville, abitante a Roma e creditore di una somma alla Contrada, pregava con una lettera inviata al Priore Cav. Tuci di saldare la rimanenza del suo vecchio credito. Erano tempi difficili specialmente per le Contrade […] Venne approvato all’unanimità di consegnare tutta la somma alla Contrada come risulta dal verbale dell’adunanza del Seggio in data 12 Marzo 1943.

Terminato il fragore delle armi e ritornata la Pace i nuovi bambini iscritti alla Sezione continuarono l’opera iniziata da coloro che si iscrissero nell’anno 1933. Venne dato l’incarico al Prof. Egisto Bellini chiocciolino, di eseguire il bozzetto della base in travertino e, nel medesimo tempo, inviai a tutti gli appartenenti alla Contrada della Chiocciola, una circolare affinché venissero incontro alla Sezione Piccoli. La somma versata, non inferiore a quella stabilita dal Consiglio Direttivo della Sezione, promuoveva gli aderenti a essere nominati “Grandi Benemeriti della Istituzione”.

Segue l’elenco dei nominativi.

“Finalmente, dopo tante peripezie, la sera del 28 Giugno 1947 con la strada di S. Marco e la Piazzetta antistante l’Oratorio della Contrada trasformata con luci e colori, con il suono delle campane, con il rullo dei tamburi, con canti gioiosi dei bambini e con il suono di un complesso musicale, alla presenza di molte autorità cittadine, dei Priori di tutte le Contrade con a capo il Rettore del Magistrato, Conte Chigi Saracini, con i paggi maggiori della Contrada dell’Istrice, nuova alleata, ed infine con una massa imponente di contradaioli, venne inaugurata la prima fontanina, fra le 17 Contrade, tolse il panno che ricopriva l’opera.”

Fu cantato dai bambini l’Inno della Chiocciola, e Victor Hugo Zalaffi, con orgoglio e grande emozione pronunciò un appassionato discorso concludendo con la speranza che si avverasse presto la promessa contenuta nel motto, da lui ideato, inciso sulla base della Fontanina e utilizzato “a mò di ritornello” nella canzone scritta per l’occasione da Bruno Zalaffi, fratello di Victor Hugo:

 

Quando alla Chiocciola vittoria arriderà

Questa nostra fontana buon vino getterà


 

Il Priore Cav. Uff. Guido Tuci espresse grande orgoglio per la tanto desiderata opera ricordando con “imperitura riconoscenza” Orlando Peccianti e Fulvio Corsini.

Il giornale “La Nazione” del 2 Luglio 1947, pubblicò un articolo in cui descrisse con dovizia di particolari il rione e la cerimonia di inaugurazione della fontanina che “svelava l’intima essenza dello spirito contradaiolo”.

Pochi giorni dopo, il 21 Luglio 1947, sempre “La Nazione”, descrisse la benedizione data dal Mons. Morbidi della fontanina: “…l’acqua ha zampillato dalle corna del chiocciolone” e “un girotondo dei grandiosi bambini intorno alla fontana ha chiuso la simpatica cerimonia”.

“La sera del 2 Luglio 1949 per festeggiare la strepitosa 46° Vittoria, riportata dalla Contrada della Chiocciola, nella Piazza del Campo, dal cavallo “Lirio” con il fantino Eletto Alessandri detto “Bazza”, dopo solo due anni dalla inaugurazione della “Fontana” questa, per tutta la notte, gettò vino chianti rendendo festosi Chiocciolini e non Chiocciolini che affollarono, numerosi, intorno alla bella fontanina.

Nel Settembre del 1948, unitamente al Cav. Uff. Guido Tuci, Priore della Contrada stendemmo il Regolamento per il Battesimo “Contradaiolo” da svolgersi con l’acqua della “Fontanina” da attuarsi per l’anno successivo, regolamento approvato dai componenti il Seggio della Contrada.” […]

“Il giorno 11 Settembre 1949, festeggiando con la “Cena della Vittoria” il Palio portatoci dal cavallino “Lirio” nel grandioso programma dei festeggiamenti vennero inclusi ed iniziati i primi “Battesimi Contradaioli”.

Furono battezzati i neonati:

1° = Peccianti Patrizia nata il 12 Agosto 1949

2° = Chellini Ferdinando nato il 5 Maggio 1949

3° = Golini Marco nato il 26 Aprile 1949”

 

Il battezzando, dopo la cerimonia religiosa effettuata nella Chiesa della Contrada, veniva portato davanti alla fontanina per ricevere il battesimo contradaiolo. Il Priore dava lettura della formula ancor oggi, pur con alcune modifiche formali, utilizzata:

Nel nome del Popolo di S. Marco, e con il beneplacito dell’Eccellentissimo Seggio, io, Priore di questa gloriosa Contrada, ti consacro Chiocciolino vita natural durante. Le cristalline acque di questa fonte, infonderanno a te, pargolo, la fede dei nostri avi, e nello stesso tempo, ti impongono il dovere di tramandarla alle generazioni future

Dopo la lettura della formula, il Priore stesso bagnava la fronte del bambino con l’acqua della fontanina e da quel momento, allora come oggi, quella “fede” sarà il nostro orgoglio per tutta la vita.

 

Patrizia Rossi

per le foto si ringraziano Michele Lorenzetti e Jacopo Bartolini

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 30 Giugno 2020 dedicato alla Contrada della Chiocciola

domenica 23 giugno 2024

Malborghetto: casa e bottega

 

Il rione della memoria è fatto di volti, ambienti, mestieri che non ci sono più:
ognuno con i propri oggetti, spazi spesso angusti, odori tipici.

Da capo all’Onda c’è sempre stato un punto di ristoro: anticamente era un’osteria e si chiamava “La Lupa”. Poco più in là, a scendere, in tempi più recenti, c’era e c’è tuttora la trattoria “Garibaldi”.  Questo per i forestieri. Gli abitanti del rione andavano a fare la spesa all’angolo di vicolo San Salvadore da Ettore Pianigiani, che secondo alcuni aveva una bancarella di frutta al Mercato, famoso per essere stato duce dell’Onda, ma anche per un tentato omicidio. Si compravano generi alimentari anche nel negozio di Dando, che vendeva un pane buonissimo. Famoso era anche il forno del Bini, dove la domenica le donne portavano a cuocere il pollo.

Se la mamma “mandava a prendere il latte” c’era la bottega di Aldo Carnevalini, poi di Vittoria. Sembra di sentire il profumo dolce e zuccherino del negozio, che invitava alla colazione. Profumo di cittino, di infanzia serena: stava tutto nei bidoncini di latta o nelle bottiglie di vetro dove veniva versato, a richiesta, il nutriente liquido bianco. Mezzo litro, un litro, a seconda delle necessità e delle possibilità. Bottiglie e contenitori venivano puntualmente riciclati.

E l’arte del riciclo si esprimeva in maniera colorata e cilandrona nelle botteghe e nei magazzini dei cenciaioli: quelli di Iole e di Vannino e quella accanto alla bottega di Beppa. Anche quest’ultima, che vendeva dove ora c’è la Stanzina delle Donne, metteva in pratica una forma di riciclo, vendendo la frutta “punta”, quella di seconda scelta, a un costo ovviamente inferiore.

A quei tempi non si buttava via niente e si accomodava molto: al numero 69 della Piaggia di San Giuseppe c’era Alma, che rimetteva a nuovo le scarpe, come il Mocca, che faceva le ciabatte utilizzando la gomma delle ruote delle biciclette. Accanto a un magazzino del vicolo di San Salvadore ci stava Teresa, l’ombrellaia, che andava a fare le riparazioni anche a domicilio: oltre agli ombrelli accomodava anche i catini e le catinelle di terracotta. E poi, verso Piazza, una quasi omonima Teresina, che rammagliava le calze e fasciava i bottoni.

Per vestirsi a un livello di maggiore decenza si poteva andare da Genoveffa, la mamma di Otellino Fratalocchi, che vendeva le scarpe all’angolo della piaggia che va nel Mercato - nel negozio che esiste tutt’ora - e che aveva un laboratorio di maglieria e confezioni per i militari. Non mancava una merceria, accanto alla latteria, dove il Carnevalini prima e Ilda Cancelli poi vendevano nastri, bottoni, fili da imbastire, battitacchi, aghi e gros-grain (il famoso “grogrè) alle donne operose esperte nell’arte del cucito.

Dove ora c’è il bar estivo della Contrada, ex pasticceria, c’era la caffetteria di Nello, con vendita di vino e gioco del biliardo. Quasi di fronte Cencio, il vinaio: un altro collega si trovava davanti al Chiasso del Raspini e un altro in piazza del Mercato. Anche nel Casone, accanto alla cannellina dell’acqua, si spillava il vino: era uno dei tanti “cancellini”, una mescita di vino all’aperto. Sempre nel Mercato, sotto il murello, c’era il negozio del Palazzi, che vendeva tute da lavoro, biancheria, grembiuli e vestaglie. In tempi più recenti, per bagnare l’ugola all’angolo di San Salvadore c’era il bar L’Incontro e, prima ancora, la birreria di Biancaneve della Selva.

Oltre a Bacco non mancava il tabacco, spesso venduto, come nella bottega del Rossi e di Maria Debolini, insieme ai generi alimentari. Altre botteghe storiche erano quella del calzolaio Rodolfo e del barbiere: Guido Bruschettini, detto Lilla, prima e Silvio Chianese poi. Una parrucchiera da donna era in fondo alla Piaggia di San Giuseppe.


Nella Contrada che ha come santo patrono San Giuseppe non potevano certo mancare i discendenti di quei Legnaioli che anticamente avevano edificato la chiesa accanto all’arco di Sant’Agata: Qui, a poca distanza, c’erano un paio di laboratori di falegnameria. Era falegname anche Gino Ticci, davanti alla cannellina, e un falegname resiste ancora in via delle Lombarde. I lavori erano rifiniti da Attilio Barellini, detto Buzzino, lustrino.

In ordine sparso abbiamo i bagni pubblici prima della Piaggia di San Giuseppe - che assicuravano l’igiene una tantum ai tanti che non avevano il bagno in casa - la rimessa delle carrozze. Degno di menzione è l’erede degli antichi “acchattani” del Seicento, Mezzanotte, che raccoglieva le elemosine per le por’anime e si teneva una commissione che spendeva in gotti di vino, Antonello che vendeva le bombole del gas e – a metà piaggia – il carbonaio, che aveva sempre un carretto di legno fuori da una portaccia.

Quello dagli anni Quaranta agli anni Settanta era un mondo vivace, colorato e colorito, denso di un’umanità popolana, sanguigna, a tratti becera: dignitosa e pettegola, passionale e geniale, con un cuore grande così. Erano l’Onda e gli Ondaioli del passato: la nostra gente, quelli ai quali rivolgiamo, ancor oggi, un sorriso pieno di affetto.


Simonetta Losi 

Si ringraziano per le memorie Marisa Corbini, Massimo Crocetta, Gloria Gentilini e Armando Santini.

Immagini tratte dal Numero Unico “Un Palio, una Contrada” (1972)


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 27 Giugno 2020 dedicato alla Contrada Capitana dell'Onda

sabato 22 giugno 2024

Arciconfraternita di Misericordia di Siena

 

Nel territorio della Contrada del Leocorno è presente la sede storica di una delle più antiche ed importanti istituzioni della nostra città: l’Arciconfraternita della Misericordia di Siena.

La “Casa della Misericordia”, antico ospedale ed ente caritativo volto ad alleviare le sofferenze dei poveri e dei bisognosi, secondo la tradizione, sorse nell’anno 1250 su iniziativa del Beato Andrea Gallerani. Dopo la sua morte avvenuta nel 1251 i suoi seguaci, che militavano sotto la regola de Frati Umiliati, proseguirono ad impegnarsi, sotto la guida di un Rettore, nella carità.

Il primo riferimento storico si trova in un verbale del Consiglio Generale del Comune di Siena, stilato il 23 giugno 1251, nel quale si concedeva ai fratres Misericordiae il riconoscimento del regime giuridico dei lasciti “ad pias causas” identico a quello degli ordini religiosi. Nel giugno del 1347 i fratelli della “Casa della Misericordia” ottennero sempre dal Consiglio Generale il riconoscimento ufficiale per celebrare la festa del Beato Andrea Gallerani.

Di rilievo e di grande aiuto nella città fu l’opera svolta da questa Istituzione verso coloro che si trovavano in condizioni di estremo bisogno.

Dopo alcuni decenni di fruttuosa attività apparvero però i primi segni di crisi, principalmente di natura economica, che richiesero ripetuti interventi di sostegno da parte del Comune di Siena, il cui Consiglio Generale nel novembre del 1404 propose la trasformazione dell'ospedale della Misericordia in un ricovero per gli scolari dello Studio Senese. Infine, il Comune “motu proprio” provvide a trasferire i beni della “Casa della Misericordia” parte a Lo Spedale di Santa Maria della Scala in Siena, e parte all’erigendo collegio, al fine di costituire la struttura portante dello Studio Senese (Pubblica Università), ivi compresa la ex sede della confraternita da allora in poi chiamata “Casa della Sapienza”.

Nel 1408, con Bolla di Papa Gregorio XII, l’ordine dei Frati della Misericordia fu soppresso.

Verso la fine del secolo XIV fu fondata in Siena la Compagnia intitolata a Sant’Antonio Abate, istituzione caritativa, fin dai primordi la sede fu ricavata nel complesso edilizio della Chiesa di San Martino e della sua Canonica. L’erudito Girolamo Macchi nelle sue memorie (Memorie Senesi - Archivio di Stato di Siena) parlando della sede della Compagnia di Sant’Antonio nel manoscritto scrive “dove è l’ingresso alla Canonica di San Martino era una strada che scendeva alla sottostante Via di Pantaneto per trovare la Via e la Porta di Follonica” porta appartenente, stando al Gallaccini, al quarto cerchio delle mura urbane; cinta che fu spostata nei primi del 1200.

Tabella di possesso della Compagnia di S.Antonio 
Abate – ingresso chiostro via Porrione


In considerazione dei secoli trascorsi resta difficile tentare una ricostruzione dei locali sotto la volta di San Martino.

Questa Istituzione rivestì caratteristiche particolare fra le confraternite senesi, fece costruire infatti un piccolo ospedale ed un proprio oratorio dedicato alla Madonna della Stella, ovvero a S. Maria della Misericordia; da qui il nome di Venerabile Compagnia di S. Maria della Misericordia in S. Antonio Abate.

Il primo statuto, giunto fino a noi risale al 1526 nella cui prefazione i compilatori ipotizzano che il loro sodalizio fosse già attivo nei primi anni del 1300 quando possedeva due sepolture, una per i fratelli e una per le sorelle nella chiesa di San Martino; anche lo storico Giovanni Antonio Pecci nel manoscritto relativo al Terzo di San Martino fa riferimento alle predette sepolture.

Una successiva completa revisione statutaria avvenne nel 1715.

Come vedremo in seguito questa Istituzione ebbe un ruolo fondamentale nella nascita dell’attuale Arciconfraternita

Ripristinata, dopo le soppressioni leopoldine del 1784, la Compagnia si mantenne vitale fino ai primi decenni del secolo XIX. quando “sul declinare dell’anno […]1828 sorgeva nella mente di Giovanni Amidei, […] in quell’epoca priore della Compagnia, […], il lodevole e bel pensiero di convertire quella Compagnia, da lui rappresentata, in Confraternita di Misericordia, sul piede medesimo delle altre, che nelle più cospicue città della nostra bella Toscana esistevano”.

Da questo momento inizia il lungo e complesso processo che si concluderà sia con la trasformazione nel 1835 sia con l’inizio dell’attività della Confraternita di Misericordia di Siena.

Le  “Memorie della Venerabile Confraternita di S. Maria della Misericordia di Siena” compilate sotto la data del 30 Dicembre 1840 dal Cancelliere-Segretario, Pompeo Stiatti, riportano:  « […]A tale effetto Monsignore Arcivescovo di Siena valendosi delle sue facoltà Ordinarie procedé per mezzo del di Lui Decreto del 20 Giugno 1833 alla canonica soppressione della Compagnia di S. Antonio Ab.e, ed in luogo di sostituzione e surroga di detta Compagnia istituì e canonicamente eresse la Confraternita di S. Maria della Misericordia sulle norme di quelle di Firenze, e Pisa, con tutti i diritti, privilegi e come più diffusamente si legge in detto Decreto in fine del quale dichiarò l’Oratorio della nuova Fraternita esenti da ogni giurisdizione Parrocchiale, ed immediatamente soggetto ad Esso, [][[ed ai suoi successori, […] »

Campanella del servo – attualmente nell’atrio di via del Porrione


Alla Confraternita di Misericordia di Siena nel 1852 verrà attribuito il titolo di Arciconfraternita, con tutti i relativi diritti e privilegi.

Nello statuto del 1526 sono mentovate alcune tradizioni e ricorrenze che ancora oggi vengono solennizzate, prime fra tutte la festa del Santo Patrono: Sant’Antonio Abate il 17 gennaio (con la benedizione degli animali) e la festa della Madonna della Stella, a seguire la  partecipazione dei Confratelli alle Processioni di penitenza, del Venerdì Santo, dello Spirito Santo e del Corpus Domini, e sporadicamente per la Domenica in Albis o in altre particolari occasioni.

In particolari ricorrenze i confratelli e le consorelle indossano la veste storica (cappa e buffa) il particolare cappuccio, anche se esteticamente non è bello a vedersi, racchiude in se un profondo significato in quanto ha lo scopo di celare alla persona sofferente colui che cerca di alleviare le sue sofferenze.

L’Oratorio di S. Antonio Abate, e quello annesso dedicato alla Madonna della Stella, subirono una completa ristrutturazione nel 1842 su progetto dell’architetto Lorenzo Doveri.

Già alla metà del 1600 infatti esisteva il così detto “Cappellone delle donne”, luogo riservato alle donne della Confraternita, separato dall’Oratorio di S. Antonio Abate da un cortiletto interno; sopra l’altare c’era il quadro della Madonna sulla cui spalla destra brillava una stella da cui il nome “Madonna della Stella”. Il quadro faceva parte di un trittico.

La cappella della Madonna, con la ristrutturazione ottocentesca, fu trasformata nell’attuale atrio della Confraternita ed il suo altare demolito. Il quadro sopra citato trovò collocazione all’interno dell’Oratorio di S. Antonio, sul nuovo altare laterale di sinistra appena costruito. Sull’altare di destra fu posta invece la statua lignea di S. Antonio Abate.

Le due tavole laterali del trittico vennero custodite nella Sala delle adunanze, fino a quando nel 1919, a seguito dei nuovi lavori di restauro, ad opera di Alessandro Parri, gli altari laterali dell’Oratorio furono demoliti ed il trittico, inserito in un’unica cornice in legno dorato, opera dello scultore Tito Corsini, fu ricomposto sull’unico altare centrale.

Descrivere l’operato dell'Arciconfraternita nella metà del secolo passato non è facile a seguito del susseguirsi di continui mutamenti in ordine ai nuovi bisogni, alle nuove povertà; non ultima per la sua rilevanza l’evoluzione normativa e tecnologica che ha creato l’istituzione del 118, nel campo sanitario, che ha determinato significative modificazioni sia di carattere professionale che organizzativo.

Le novità più rilevanti sono state l’inizio del decentramento operativo (Taverne Arbia, sorta nel 1993, San Rocco a Pilli nel 1996, San Miniato nel 1997, Rosia nel 1999 e Ponte a Tressa nel 2002) e la costituzione dei Gruppi operativi, hanno permesso di avere nuove sinergie ed allo stesso tempo economie di scala.

Nel suo “Fare Prossimo” l’Arciconfraternita, pur adeguandosi alle circostanze ed alle necessità man mano emergenti, intende mantenere fermi i principi originari che ispirarono nei secoli i suoi fondatori e i confratelli, secondo il dettato evangelico.

"Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me" (Matteo, 25.40).


Oratorio – Via del Porrione

Tutto questo rimanendo al passo dei tempi e sempre in stretto contatto con la società civile, ma senza voler dimostrare niente agli altri, e senza voler affermare alcuna superiorità ideale nei confronti di nessuno.

La Carità Cristiana non si pone infatti come contropartita la riconoscenza degli uomini, o l'acquisto di un premio ultraterreno (che per quanto ambito, sarà un Altro a dover giudicare se sia dovuto), bensì deve essere dettata dall'amore per il prossimo nei confronti del quale si esplica con spirito di condivisione e di servizio.

All’interno dei locali dell’Arciconfraternita sono presenti prestigiose opere d’arte; notizie più approfondite sulle vicende storico-artistiche riguardanti la Misericordia si trovano nel volume dal titolo “La Misericordia di Siena attraverso i secoli – Dalla Domus Misericordiae all’Arciconfraternita di Misericordia”, Protagon editori, 2004, nel quale si trovano i contributi di illustri studiosi e storici senesi.

Francesco Fusi


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 20 Giugno 2020 dedicato alla Contrada del Leocorno



domenica 16 giugno 2024

La Civetta e Piaccina

 

Vincere il Palio per tre anni consecutivi è un’eccezionale impresa riuscita nella
storia solo in otto occasioni a sei differenti contrade, tra queste vi è la Civetta che è l’unica ad aver fatto “tripletta” con lo stesso fantino: Luigi Menghetti detto “Piaccina” che portò nel Castellare i drappelloni dell’agosto 1811 e del luglio 1812 e 1813.

Il fantino di Empoli, all’epoca quasi cinquantenne, aveva corso nella Civetta già tre volte ed in particolare nel luglio 1810 rivestiva il ruolo di favorito ma, pur partendo tra i primi, venne ferocemente ostacolato da Vecchia, suo accanito rivale, che afferrò per le briglie il cavallo di Piaccina fermandolo a San Martino.

Nell’agosto 1811 Luigi Menghetti tornò nella Civetta su un morello maltinto del sellaio Vignozzi e vinse una carriera molto combattuta ed altalenante: partì in testa la Giraffa, con Botto, ma dopo pochi metri passò al comando l’Onda con Brandino il quale subì prima l’attacco di Caino nella Pantera e poi di Geremia, figlio di Piaccina, nel Drago, che riuscì a passare primo ma fu subito superato dal babbo che, dopo più di due girate d’attesa, andò a trionfare precedendo Ferrino maggiore nella Tartuca.

Nel luglio successivo alla Civetta andò in sorte un morello di Giovanni Batazzi sul quale venne riconfermato Piaccina, anche stavolta l’empolese non partì bene e la vittoria sembrava una questione a due tra Caino nel Drago, che uscì primo dalla mossa e Vecchia nel Montone che passato in testa sembrava in grado di vincere per la prima volta dopo ben venti partecipazioni.

All’ultimo Casato, invece, Caino si avvicinò minacciosamente a Vecchia che, dopo un breve ma violento scambio di nerbate, ebbe la peggio cadendo a pochi metri dall’arrivo, Piaccina fu lesto ad approfittarne e portò il secondo Palio consecutivo nel Castellare per nulla atteso visto che la grande favorita della vigilia era la Chiocciola con Brandino, che cadde al primo giro e poi Drago e Montone che, come descritto, gettarono via la vittoria nerbandosi.

Per il Palio di luglio del 1813 la Civetta venne estratta a sorte e le fu assegnato un sauro debuttante di Bernardino Fontani, stavolta la vittoria arrivò in maniera netta ed incontrastata, nonostante Piaccina avesse praticamente tutti contro, pare per le scarse regalie elargite ai colleghi negli anni precedenti.

La mossa fu tormentata e contestata, ci vollero tre allineamenti in cui non mancarono le scorrettezze tra i fantini ed una caduta rovinosa di Brachino nell’Aquila, Piaccina fu furbo a trovare spazio e sfruttando il primo posto al canape scappò nettamente primo e vinse respingendo senza grosso affanni un primo attacco di Brandino nel Bruco ed un estremo tentativo di Pettiere nella Giraffa.

A questa vittoria seguirono alcune polemiche in quanto uno dei Mossieri, il Barone Luigi Bichi Borghesi, era uno dei più importanti e facoltosi protettori della Civetta e per molti diede la mossa in un momento di confusione estrema, dopo i precedenti allineamenti falliti, proprio per favorire Piaccina.

Fu quella la quinta vittoria per Piaccina, la sua seconda giovinezza che ebbe altre conferme negli anni successivi con le vittorie del luglio 1814 nel Bruco, dell’agosto 1818 nel Leocorno e l’ottava ed ultima del luglio 1826 ancora per la Contrada di Barbicone.

Anche per la Civetta gli anni successivi furono positivi con una frequenza di vittorie piuttosto regolare, con almeno un trionfo in ogni decennio.

Il solido connubio tra Piaccina e la Contrada del Castellare si confermò in altre cinque occasioni: nell’agosto 1818, 1821, 1823, 1825 e nel luglio 1831, portando il totale delle sue presenze ad undici, importante primato tuttora imbattuto per un fantino nella Civetta; il record di tre vittorie, invece, fu eguagliato da Primo Arzilli detto “Il Biondo” che il 16 agosto 1949 sulla Popa conquistò il terzo trionfo col giubbetto rosso e nero listato di bianco.

La carriera del 3 luglio 1831, in particolare, registrò la sessantacinquesima ed ultima partecipazione di Piaccina, un risultato incredibile di longevità paliesca impossibile da battere considerato che la carriera dell’empolese, partita il 16 agosto 1787, durò fino alla soglia dei suoi settant’anni.

Roberto Filiani




Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 15 Giugno 2020 dedicato alla Contrada Priora della Civetta

sabato 8 giugno 2024

Le prime testimonianze documentali dell'esistenza della Tartuca


Per quanto gli storici ed eruditi senesi del Settecento – come il Gigli, il Macchi, il Torrenti – ritenessero che la Tartuca fosse la Contrada più antica di Siena, essendo compreso nel suo territorio il nucleo della città altomedievale (ovvero Castelvecchio), non c’è alcuna certezza, né testimonianza documentaria, che ciò corrisponda al vero. Di sicuro i tartuchini presero a vantarsi di questa primogenitura, tanto da metterla nero su bianco nella Memoria istorico cronologica della Contrada della Tartuca, cioè la prima trattazione delle vicende storiche della Contrada, pubblicata in occasione della solenne consacrazione dell’oratorio nel 1818.


In realtà non sappiamo con precisione quando gli abitatori di Castelvecchio, delle Murella, delle vie dei Maestri e delle Cerchia, di Porta all’Arco e della castellaccia di Sant’Agata cominciarono ad aggregarsi sotto il nome della Tartuca. Nelle sporadiche menzioni di Contrade che si susseguono lungo il corso del XV secolo la Tartuca non viene citata, almeno direttamente. Con estrema probabilità un gruppo di abitatori della Compagnia militare di S. Pietro in Castelvecchio prese parte alla pugna del 1 marzo 1495 sotto l’insegna della famiglia Tegliacci, a quell’epoca dimorante nell’omonimo palazzo di via S. Pietro (oggi palazzo Buonsignori, sede della Pinacoteca nazionale). Questi pugnatores sponsorizzati dai Tegliacci avrebbero potuto costituire l’embrione contradaiolo della Tartuca. Si noti infatti che la rigida attribuzione dei territori delle antiche Compagnie militari alle Contrade è in buona parte frutto della fantasia interessata del conte Pecci, colui che riportò in vita l’Aquila. Come dimostrano le zone di residenza dei primi ufficiali della Contrada che ci sono noti, a formare il territorio della Tartuca concorsero porzioni, anche abbondanti, di S. Quirico in Castelvecchio e appunto S. Pietro in Castelvecchio, oltre ovviamente alle canoniche Porta all’Arco e Sant’Agata. Inoltre, almeno fino all’emissione del Bando sui nuovi confini del 1730, via S. Pietro era considerata dagli storici ed eruditi senesi facente parte della Tartuca. L’ipotesi che una parte della schiera dei Tegliacci nel 1495 fosse l’espressione primordiale della successiva Tartuca, non è dunque affatto peregrina.

Ma purtroppo attestazioni documentarie della Tartuca non si trovano fino all’epoca della guerra fatale col tiranno Carlo V ed il suo bieco scherano Cosimo de’ Medici. La Contrada di Castelvecchio non prese parte alla grande caccia ai tori del 1506, descritta doviziosamente da un anonimo visitatore fiorentino e che vide in Campo ben 12 delle Contrade attuali. La Tartuca fu però anche l’unica che non partecipò neppure alla più celebre fra tutte le cacce ai tori tenutesi in Piazza del Campo: quella del 15 agosto 1546. I motivi di questa assenza sono ignoti. La possibilità che la Tartuca non si fosse ancora formata parrebbe da scartare, in virtù della documentazione di poco posteriore che, al contrario, ne certifica l’esistenza anche prima della caduta di Siena. Rimangono in campo tutte le altre varie congetture: i tartuchini non si cimentarono nella caccia del 1546 per motivi politici (lo spettacolo pubblico doveva celebrare l’allontanamento dei Noveschi dal governo), oppure per mancanza di denari, o forse per scarsità di uomini? Le carte oggi a conoscenza degli studiosi tacciono.


Si consideri comunque che per tutta la prima metà del Cinquecento le testimonianze scritte (cioè quelle a noi note) sulle Contrade sono infinitamente poche, e che non si può escludere in assoluto che la Tartuca – al pari delle altre 4 mancanti nel 1506: Bruco, Civetta, Leocorno, Pantera – non si sia già costituita precedentemente alla prima citazione documentaria. Ad accrescere il mistero, quella che forse è davvero la prima notizia ufficiale dell’esistenza della Tartuca è contenuta in un foglio senza data, ma incollato al manoscritto che registra le note organizzative della caccia del 1546. Questa carta non datata riporta l’esito di un’altra caccia di tori dell’epoca in questione, e quindi dimostra come la Tartuca già esistesse. D’altronde la partecipazione agli spettacoli pubblici era facoltativa e non tutte le Contrade presenziavano di volta in volta (a questa caccia dalla data sconosciuta mancarono, ad esempio, Aquila, Civetta e Montone). Chi scrive aveva a suo tempo avanzato l’ipotesi che la caccia in questione potesse essere quella del 15 agosto 1555, svoltasi nella piazza grande di Montalcino dove si erano ritirati i patrioti irriducibili; ma gli elementi a suffragio di questa teoria sono comunque labili, per quanto affascinanti.

Arresasi anche la Repubblica ritirata in Montalcino, i Senesi superstiti rientrarono in patria e si cercò di costringerli ad onorare l’usurpatore mediceo con una grandiosa caccia di tori da allestirsi nel 1560 alla venuta dell’esecrato Cosimo. È in tale contesto che la Tartuca viene finalmente citata nei documenti, al pari delle altre 16 consorelle. La Contrada di Castelvecchio appare avere una consolidata prassi organizzativa, tale da non poter lasciare spazio a dubbi circa la sua esistenza antecedentemente allo scoppio della guerra con l’impero. Ad ulteriore riprova di ciò, la Contrada aveva la propria bandiera in deposito presso la chiesa di Sant’Agostino, evidentemente da prima dell’assedio. Non solo, ma già possedeva un carro a forma di tartaruga – detto appunto “la tartuca” – che era certamente servito nelle cacce ai tori precedenti ed era conservato in qualche rimessa dell’Opera del Duomo durante gli anni della guerra.

Rimane da dire – o meglio da ribadire – che il nome “Tartuca” non è certamente di derivazione spagnola, come una vulgata facilona e incolta prese ad ipotizzare numerosi decenni fa. Il lemma – peraltro attestato nei documenti senesi più antichi nella forma “Tartucha”, a riprodurre graficamente la tipica aspirazione della c di matrice locale – ha bensì un’origine tardo latina, addirittura su una base del sostrato etrusco-tirrenico. Secondo le più recenti indagini linguistiche e filologiche, insomma, tartuca (presente con le sue varianti similari tartuga, tortuca, tortuga nelle lingue romanze) è la forma più antica dell’italiano, che poi si modernizza in tartaruga a partire dal XVI secolo. Parrebbe perciò che a Siena il vocabolo antico si sia cristallizzato nel nome della Contrada, sopravvivendo nei secoli.

Giovanni Mazzini

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 14 Giugno 2020 dedicato alla Contrada della Tartuca



domenica 2 giugno 2024

Le strade della Giraffa: lo specchio della storia di Siena

“Il mio materiale (...) è stato raccolto dagli scritti insignificanti, assolutamente privo di pretese letterarie, e da vecchi soldati (...) ho basato la verità della mia storia su di loro, esaminando i loro racconti e confrontandoli con quello che avevo scritto, e quello che mi hanno detto con ciò che avevo sentito (...) e da tutti questi materiali l'intero tessuto della mia storia - la mia vera storia - è stato tessuto”.

Così scriveva la principessa bizantina Anna Comnena, una delle prime donne conosciute che ha scritto di storia nella storia (e scusate il rigiro di parole).

Nata a Costantinopoli il 2 dicembre 1083, muore, sempre a Costantinopoli nel 1153, ed è figlia dell'imperatore Alessio I Comneno e di Irene Ducaena.

L’ho presa larga, direte, per raccontare la storia del rione e delle strade dell’Imperiale Contrada della Giraffa.

Ma la ricostruzione dei secoli che hanno vissuto questi vicoli ben si adatta a quella visione del raccontare. Su queste strade, in questi vicoli, attraverso i secoli, hanno camminato i personaggi più importanti di Siena, quelli che ne hanno determinato i nodi storici, come le persone più povere, i vagabondi, le prostitute. E ancora mistici e papi e principi e regine.

E poi letterati che ne hanno raccontato la suggestione ("Qualche sera, io escivo e andavo in Piazza di Provenzano: c’era più fresco e vedevo la campagna doventar madreperlacea, dietro le mura della città, (...) Quando m’allontanavo dal murello, i tre lampioni della piazza erano già stati accesi, la facciata della Chiesa era più grigia, la cupola pareva per sparir nel cielo con la sua palla dorata che non luccicava più. Via Lucherini, in salita, era oscurissima: io tornavo a casa toccando uno per volta i colonnini dalla parte del mio marciapiede". Federigo Tozzi, Bestie).



Un rione (e la sua Contrada) esplicitamente ricordati già dallo pseudo Gentile Sermini (con questo nome è stato fino ad oggi conosciuto quello scrittore abbastanza misterioso, del quale si sa poco o niente, che è stato recentemente identificato con l’aristocratico Antonio di Checco Rosso Petrucci) alla fine del ‘400 quando descrive un gioco di pugna. Uno spicchio di città che si porta dietro la memoria del leader ghibellino Provenzano Salvani e della sua famiglia della quale si cercò, nella Siena guelfa, di “ripulire” la storia obliterando lo scomodo passato filo-manfrediano di colui che aveva cercato “di recar tutta Siena alle sue mani”. Salvo poi vedere che Provenzano Salvani Siena non la tradì mai, anzi morì per lei e per difenderla. E qui, i Salvani (estinti nel 1723), avevano i loro principali possedimenti il cui ricordo è rimasto nella toponomastica dell’area: piazza e via Provenzano Salvani ne sono l’esempio. Quindi, strade che vissero la gioia del trionfo di Montaperti, la sconfitta dello stesso Provenzano nella battaglia di Colle Val d’Elsa nel 1269, ed il passaggio dalla Siena ghibellina a quella guelfa.

Dopo essere il centro pulsante della politica, il rione diventa sostanzialmente un quartiere malfamato, fatto di povera gente e prostitute. E anche questo lascia una traccia profonda nell’intitolazione delle strade. La casa di tolleranza di Vicolo della Viola (prima detto vicolo del Buon Costume) e un’altra presente in via di Provenzano vengono chiuse, addirittura, il 1° gennaio 1927 dopo forti proteste dei Giraffini per “ragioni di moralità e di decenza” dato che, specie di notte, provocavano “scene e scenette punto edificanti” (questo articolo, tratto da “La Nazione” del 31 dicembre 1926, mi fu segnalato a suo tempo dall’amico Duccio Nassi, che oggi ci ha lasciato ma che tutti, giraffini e non, ricordiamo con immenso affetto).

Via dei Baroncelli (sono di parte, lo so) ha una storia in itinere. Si credeva che il suo nome (o almeno io stessa l’ho creduto fino ad ora) derivasse dalla Compagnia Laicale di Sant’Anna dei Ciechi e Stroppiati, fondata nel 1624 per accogliere ed effettuare attività di mutua assistenza a poveri ciechi e storpi, maschi e femmine, e che aveva sede sotto le volte della chiesa di Provenzano. L’oratorio della Compagnia, officiato per un certo periodo anche dalla Contrada della Giraffa, si trovava appunto verso la metà di via dei Baroncelli. Pensando ad una strada dove persone con handicap fisici e poveri chiedevano l’elemosina e cercavano aiuto dai confratelli, si è ipotizzato che ciò avesse lasciato traccia nel nome attestato nello stradario del 1789 (prima la strada era detta Costa di Sant’Anna). Ora qualche dubbio viene, perché dal fondo dell’Archivio della Collegiata di Provenzano sono emersi, in questa stessa zona, possedimenti dell’importante famiglia senese dei Baroncelli, benefattrice della chiesa legata alla Vergine dei Miracoli.

Dicevamo quartiere povero e destinato alle case di piacere soprattutto da quando, durante la dominazione spagnola, siamo nel 1548, le truppe occupano, tra gli altri, anche il convento di San Francesco.

Ed eccoci al fatto che segna il completo cambiamento dell’area: la tradizione vuole che proprio un soldataccio spagnolo (poi chissà come andò davvero la storia, ma poco cambia nello sviluppo degli eventi futuri) spari ad un'immagine della Madonna (una delle tante) che si trovava sulla facciata di una delle case del rione. La tradizione vuole che questa immagine fosse una “Pietà”, cioè Maria che teneva in braccio il figlio morto. La tradizione vuole che proprio di fronte alla stessa icona fosse solito fermarsi a pregare Bartolomeo Garosi, conosciuto come Brandano, mistico e profeta che decretò, molti decenni prima che si avverassero i fatti, che tutta Siena si sarebbe recata a pregare in Provenzano e che lì sarebbe stata la salvezza della città.


Di fatto lo sparo ci fu (se alla Madonna di Provenzano si toglie la “veste” d’argento si vede benissimo il foro di proiettile) e coloro che assistettero al fatto si adoperarono per rimettere insieme i pezzi della statuetta in terracotta. Da allora la Vergine (senza il figlio in braccio, anzi, senza braccia, come la vediamo ancora oggi) iniziò a dispensare grazie e iniziò a nascere, intorno a lei un culto ed una devozione tale che si riempirono le strade di pellegrini provenienti da ogni luogo. Di questa “presa” che la Vergine dei Miracoli aveva sul popolo ne sono (intelligentemente) ben consapevoli i Medici, che dopo la caduta di Siena nel 1555 alla fine dell’assedio, sostennero e promossero il culto alla Madonna di Provenzano divenendo i maggiori mecenati nella costruzione del suo Tempio (consacrato nel 1611).

E con la costruzione della chiesa di Santa Maria della Visitazione, eh sì, questa è la dedicazione di Provenzano, le strade della Giraffa riacquistarono nuovo lustro e nuova dignità. Non serve, vero, che vi ricordi che il Palio, il nostro, è nato in suo onore nel 1659?

E fu, proprio per addurre l’acqua che serviva alla fabbrica della Collegiata di Provenzano che venne costruito un fontino, alimentato dall’acqua del bottino di Fonte Gaia. Il fontino venne chiuso nel 1879 insieme al vicolo (e dentro quel vicolo chiuso si trova ciò che resta della facciata della “Casa dei Miracoli” sulla quale era murata l’icona mariana che, sempre la tradizione, vuole che appartenesse ad una discendente di Santa Caterina) anche se la sua acqua, indispensabile al rione, venne dirottata in via delle Vergini, dove, l’anno successivo, venne costruita una nuova fonte, che esiste ancora oggi.

Un'ultima annotazione: la Collegiata di Santa Maria in Provenzano è sì nel territorio dell'Imperiale contrada della Giraffa, ma essendo la Chiesa del Palio è la Chiesa di tutte e diciassette le Consorelle e quindi, come si dice a Siena, “non fa Contrada”.

Ora molto altro potrei scrivere perché, come diceva Anna Comnena dalla quale sono partita: per raccontare gli eventi, bisogna utilizzare tutti i fili, anche i più apparentemente insignificanti, dei quali è intrecciato il complesso tessuto della storia.

E se vi chiedete cosa c’entro io a scrivere della Giraffa vi rispondo che queste strade sono le mie strade. Sono luoghi che amo. Sono le persone che mi hanno accolta, al di là e oltre i colori contradaioli. Sono le strade nelle quali vivo. E, per dirla con Gabriel Garcìa Marquez: l’amore non presuppone monopoli, perché il cuore "ha più stanze di un bordello". Appunto.

Maura Martellucci

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 7 Giugno 2020 dedicato alla Imperiale Contrada della Giraffa

domenica 26 maggio 2024

I Numeri Unici del Drago - di Massimo Biliorsi



Il primo Numero Unico della Contrada del Drago è quello del Palio della Pace. Non poteva essere altrimenti: la Contrada negli anni trenta è una ristretta, seppur ben organizzata, cerchia di persone con personaggi come Mattei e Nozzoli, capaci di tenere assieme sede e società ma con problemi numerici che si riflettono in settori allora molto laterali come l’editoria. La rinascita del dopoguerra è una rinascita sostanziale, ed ecco un Numero Unico agile e semplice, con quella copertina un po’ liberty, con un drago che fa marameo e collaborazioni illustri come quella di Mario Verdone. Lo sappiamo che l’evoluzione di questa pubblicazione fu ovunque lenta e meditata fino alla fine degli anni sessanta del novecento.
Il Drago si toglie la cuffia nell’agosto del 1962 e una nuova generazione, giovane e un po’ irriverente, guida la Contrada di via del Paradiso. E questo non poteva non riflettersi sulle copertine dei quattro Numeri Unici, quasi una pubblicazione annuale, che testimoniano i successi del 1962, 1963, 1964 e 1966. Sono, nell’ordine, “Grancarriera”, “Piazza pulita”, “Il filo di Arianna” e “Dragomania”. Si assomigliano per grafica, formato e contenuti. Qui appaiono figure a noi molto care: i disegni e le copertine di Emilio Giannelli, i testi sagaci e pungenti di Andrea Muzzi e Enrico Giannelli. 
Passano vent’anni e finalmente il Drago vince: c’è molto da raccontare in “Beati gli ultimi”, titolo di Paolo Corbini, con un’altra generazione che si racconta in un successo insperato e condito dai disegni del già mitico Giannelli, Pizzichini e Pollai. Il Numero Unico è realizzato a Firenze dall’editore dragaiolo Carlo Balocchi.
Passano tre anni ed ecco “Ippomanzia”, titolo ideato dal sottoscritto, dove il pretesto del filo conduttore è quel ferro magico che Benito ha potuto riavere prima della corsa.
Si arriva al 1992, ed ecco il Numero Unico forse più coerente e capace di interpretare una bella stagione. E’ in due volumi, con un cofanetto, e si intitola “Ricamato”, titolo di Enrico Giannelli e copertina del fratello, visto che il drappellone era stato così realizzato.
L’anno dopo siamo di nuovo al lavoro e c’è modo di sbizzarrire la fantasia e soprattutto l’ironia. Si tratta di “035 United Colors of Dragon”, ancora mia l’idea, e tutta la capitaneria vittoriosa è ritratta nuda come la celebre pubblicità della Benetton. C’è un inserto satirico Cuore che è restato davvero nel cuore di chi lo realizzò.
Eccoci al 2001: drappellone realizzato da chi disegnava i manifesti per il cinema, Silvano Campeggi, e quindi tutta la festa prende l’impronta e la vocazione del grande schermo. Non per niente si chiama “Nuovo Cinema Paradiso”, strada dragaiola e film vanno d’accordo, ed è racchiuso proprio nella scatola a forma di pizza cinematografica. Cambiano le generazioni, qualcuno di noi va a divertirsi con la commissione regia della cena ed ecco Susanna Guarino che guida un gruppo di giovanissimi per “D’Oppio”, due volumi che consacrano un grande cavallo e una dirigenza vittoriosa all’esordio. Ed infine “Favoloso”, una festa e una pubblicazione che ripercorrere epiche vicende, con un altro gruppo di giovani guidati stavolta da Giovanni Molteni, carta anticata per una storia nuovissima, con una particolare sottolineatura al fatto che, accaduto soltanto alla Torre, un proprio contradaiolo avesse disegnato il cencio portato a casa. Un viaggio lungo quasi un secolo, un viaggio editoriale che segna il passaggio dei tempi, delle mode ma sempre con una volontà e un entusiasmo che, nonostante l’arrivo di nuovi mezzi di comunicazione, segna la costante e bella presenza di un cartaceo che sprigiona sempre ricchezza e nostalgia. 
Per questo immortale. 

Massimo Biliorsi


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 1 Giugno 2020 dedicato alla Contrada del Drago

La Fontanina della Contrada della Chiocciola

  “Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita.” (O.Wilde) La storia è custode della memoria di un territorio...