Siena
è veramente una città magica, mutevole di architettura e atmosfera
da rione in rione, che spesso basta girare un angolo, uscire da una
viuzza che ti sembra di essere stato trasportato in un altro luogo,
tanto da farti girare e ricercare incredulo, da dove sei venuto.
Quel suono basso e greve di pelle e cordiera in budellino, è come un raggio di sole, una bevanda calda che lenisce dal torpore sia il corpo che l'anima, è come una voce sommessa che dice: tranquillo, anche quest'anno tornerò a far sentire la mia voce insieme a quella di tutti i miei fratelli nella stagione del sole.
A quel punto ti fermi, tendi l'orecchio e speri che quel suono continui, non smetta, speri che chi lo suona non si preoccupi troppo dei vicini che potrebbero lamentarsi ma vada avanti, come quando la notte ti porta un sogno bellissimo da cui non vorresti mai destarti.
La storia che mi lega con questo aulico strumento inizia fin da piccolo, ma sinceramente fuori luogo per essere narrata qui, dirò solo che grazie a un carissimo amico di nome Duccio, che mi prestò il suo balilla per allenarmi un anno intero, ho avuto il privilegio di indossare la montura da tamburino per molti anni (fieramente passista ma con la licenza sovente del “raddoppio”) e grazie alla mia non più giovanissima età, (sia ben inteso solo per l'anagrafe) di indossarla oltre che per il giro in città, anche per quello in campagna, del quale provo particolare nostalgia.
Tamburo che passione, e la passione è veramente tantissima se ripenso a quelle domeniche di fine maggio o di inizio mangia e bevi quando in luglio, sotto un sole cocente, suonavamo i nostri mitici balilla per le strade extramoenia facendo spesso sbandierate alle persiane chiuse di contradaioli in vacanza; e ancora che passione sempre quando sperduto in qualche via dell' Acquacalda o di san Miniato, chi ti accompagnava, sentendoti magari smettere un minuto per riprendere fiato o perché ti sentivi tremendamente fuori luogo ti squadrava e ti diceva: “oh! Sona!!!” e te li riprendevi “bereben ben be-ben ben bereben ben berebenbenben...
Quanto mi manca!!
Non me ne vogliano gli alfieri, di cui ammiro la grazia, lo stile la nobiltà del gesto e le eleganze dello svolazzio frusciante della seta, se dico che per quanto so essere bello far volare la propria bandiera alta nel sole e nel cielo di Piazza del Campo, solo noi tamburini sappiamo cosa sia, quando per il rientro, imbocchiamo il Chiasso largo e in una frenesia di raddoppi e rullate senti il capo tamburo che urla “PASSO!!!” e a quel punto una voce unica, potente, invincibile e fiera, si leva dai nostri tamburi come fosse uno solo e annuncia solenne a tutti l'ingresso della Torre in Piazza del Campo.
E non ce n'è per nessuno!
Francesco Pizzo Giannini
Foto Jacopo Bartolini e Lorenzo Monciatti
Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 25 Luglio 2020 dedicato alla Contrada della Torre
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