domenica 11 febbraio 2024

Da Marescotti a Chigi: Storia di un palazzo e di chi lo ha vissuto



“Ond’io a lui: Lo strazio e il grande scempio,

Che fece l’Arbia colorata in rosso,”

Inferno Canto X Ver. 85/86


Così il Sommo Poeta racconta la battaglia di Montaperti.

Dall’avvenimento narrato erano passati 61 anni, ma l’eco di quell’epica battaglia risuonava ancora forte nelle orecchie. Dante era venuto a conoscenza dei fatti dai racconti di chi c’era, quasi come oggi ascoltiamo le storie dei vecchi Palii nelle serate estive. Così come oggi ognuno racconta la sua versione del Palio, all’epoca accadeva uguale anche riguardo una guerra, creando versioni fantasiose e talvolta leggendarie. Rispetto la battaglia di Montaperti di storie non del tutto veritiere ne sorsero tantissime. Infatti vive ancora la leggenda di Cerreto Ceccolini, il tamburino che avrebbe fatto la radiocronaca dello scontro, appollaiato sulla torre Marescotti.
Come ho detto questa è una leggenda, non abbiamo la sicurezza che Ceccolini possa aver fatto questa cronaca, anche a causa della grande distanza; tuttavia la torre esiste ancora.
Torre Marescotti appartiene alla cellula embrionale di quello, che nel 1877, diverrà Palazzo Chigi Saracini.


Marescotti


Ritratto di Mario Scoto


Come tutte le famiglie potenti, anche i Marescotti si danno un’origine importante facendo risalire la loro casata a Marius Scotus, fantomatico militare scozzese dell’VIII secolo. La leggenda racconta che quando nel 773 d.C. Carlo Magno scese in Italia contro i Longobardi, rei di non aver rispettato il limite del territorio papale.  Mario Scoto, che era stato incaricato da suo fratello Guglielmo Conte di Douglas, di comandare il suo esercito al fianco di Carlo Magno, trovò un passaggio tra le montagne e attaccò di sorpresa i Longobardi.  Lasciate le armi alla fine del secolo, si sposò con una nobildonna italiana  e ricevette l’incarico di fare da scorta al Papa. Nell’800 ricevette l’investitura del contado di Bagnacavallo in Romagna.  La famiglia Marescotti conserva tutt’oggi un ritratto d'uomo d'arme che porta la seguente iscrizione in latino “Marius de Calveis, Scotus, Carl Mag M Dux Familiam Marescotti Fundavit ANN D. DCCC.”
Di fatto la prima menzione attendibile di un appartenente alla dinastia è un Mariscotto, console del comune di Bologna e poi capitano generale  nel 1179 e un Raniero Marescotti, nominato Cardinale da Papa Lucio II nel 1144.
Il ramo Senese si sarebbe formato con Guglielmo Marescotti, podestà di Siena nel 1232. Tuttavia la loro presenza nel senese, è documentata già nel XII secolo, come feudatari della maremma.


Il primo palazzo

Scendendo Via di Galgaria (antico nome di Via di Città, dovuto alla presenza dei “Galgari”, cioè cuoiai e calzolai) si apre sulla destra il vicolo di Tone. Questo passaggio, che secondo Lusini si riconnetterebbe all’antica strada romana di Tascheto  (oggi Via dei Percennesi), prende il nome da Guido Marescotto dei Marescotti. Guido o Guittone (da qui il toponimo) sarebbe colui che iniziò la costruzione del Palazzo, partendo proprio dalla torre di cui parlavamo precedentemente.
Siamo alla metà del 1200 circa e la posizione prima e la leggenda poi, pongono l’accento sull’influenza che aveva questa famiglia nel panorama politico senese.

 

Passaggio di consegne

Nel corso dei tre secoli durante i quali il palazzo rimase di proprietà dei Marescotti, vennero effettuati molti ampliamenti assorbendo le costruzioni adiacenti.
La famiglia rimase in possesso dell’edificio fino al XVI secolo, quando venne acquistato dai Piccolomini del Mandolo: altra importantissima casata senese a cui dobbiamo l’attuale aspetto rinascimentale, tramite le decorazioni raffaellesche del loggiato esterno ed il fregio istoriato rappresentante le storie di Pio II.


Piccolomini

Stemma della famiglia Piccolomini

Questa famiglia è senza dubbio una delle più importanti della storia della Città. Anche i Piccolomini, come già abbiamo detto per i Marescotti, fanno risalire l’inizio della stirpe a tempi molto remoti.

Francesco Maria Piccolomini vescovo di Pienza nel 1597, in risposta a Ottaviano Crociani, raccontò che il segretario di Papa Pio II, Leonardo Dati, avrebbe trascritto il diario di Caio Vibenna dove sono raccontati i fatti del re Porsenna riguardo un Bacco Piccolomini, signore di Castelmontone, che sarebbe andato in soccorso di quel re contro i romani, inalberando lo stendardo che è ancora oggi blasone della famiglia.
Il bisogno di far risalire le origini a fatti o persone di primo piano storico era necessario, quanto lo sono oggi le referenze per trovare lavoro. Esse servivano appunto da garanzia e vanto, nei confronti delle altre famiglie nobili della zona, per cui talvolta è facile imbattersi in storie più che fantasiose.


Piccolomini del Mandolo

Questo ramo della casata Piccolomini  ha origine nel corso del XIII secolo, con Biagio di Carlo figlio di Carlo di Gabriello di Rustichino. I componenti furono molto presenti nelle cronache senesi per il loro altissimo livello culturale e sociale che permise l’acquisto del palazzo Marescotti e l’adeguamento in chiave rinascimentale di cui abbiamo parlato. La Famiglia Piccolomini del Mandolo, dopo aver annoverato svariati Vescovi e Arcivescovi, anche molto influenti presso il papato,  si estinse nel corso del XVII secolo, quando i figli maschi di Guglielmo e Giuditta Amerighi morirono senza dare discendenza.


Tracce dei Mandoli

ASSi, Tavoletta di Biccherna n. 82, Anonimo “Un torneo in piazza del Campo”, 1607 - Immagine autorizzata dall’Archivio di Stato di Siena

I Piccolomini dal Mandolo sono, come si intuisce, l’unione matrimoniale tra i rampolli delle due casate. Purtroppo, mentre dei Piccolomini abbiamo moltissime documentazioni anche relativamente antiche, dei Mandoli disponiamo di pochissime attestazioni, tra le quali gli  stemmi raffigurati su alcune tavolette di Biccherna, come ad esempio la numero 82 (1607-1610) e la numero 60 (1555). Ad oggi, una parte importante della famiglia Mandoli risiede a Lucca, da dove sembra sia nata la dinastia, ed è grazie ad una loro discendente, Rita Camilla Mandoli Dallan e alla sua straordinaria ricerca,  che mi è stato possibile ricostruire questa parte della storia del Palazzo Chigi (ancora Piccolomini del Mandolo).


Dai Saracini alla Chigiana

Dopo gli ammodernamenti rinascimentali apportati dalla famiglia Piccolomini del Mandolo, l’immobile passa nelle mani della famiglia Saracini – Lucherini (Lucarini).
L’unione delle due famiglie, Saracini e Lucherini, si ha nel 1668 quando Galgano Saracini venne adottato dalla famiglia Lucarini, unendo i due stemmi (effige di un moro sovrastato da un’aquila) e assumendone il cognome.
A partire dal 1770 avviene un’ulteriore  ampliamento della facciata, aggiungendo una fila di trifore fino a giungere al Vicolo di Tone; un ricongiungimento, se si vuole,  con la famiglia che aveva dato il via al Palazzo. 
Nel 1877, per volere testamentario di Alessandro Saracini Lucherini, l’edificio viene ceduto all’unico erede, il nipote Fabio Chigi che assunse il nome di Fabio Chigi Saracini (di fatto non vi è menzione del nome Lucherini, che sembra sparire in questo passaggio, dalla storia della casata), che a sua volta lo donò al nipote Guido Chigi Saracini. L’appartamento al primo piano venne adattato nel 1922, da Arturo Viligiardi (1869-1936) inserendovi anche un salone da concerti in stile settecentesco. La famiglia Chigi Saracini vi abiterà fino al 1965, riservando parte del palazzo all’Accademia Musicale Chigiana, istituita dal Conte Guido Chigi Saracini nel 1932, divenuta Fondazione Chigiana nel 1958.


Interno del Teatro – Si ringrazia per la foto la “Fondazione Accademia Musicale Chigiana”


Il nostro percorso attorno alla storia del Palazzo Chigi Saracini Lucherini, ci ha portato a scoprire persone e istantanee di storia senese, che corrono il rischio di andare perdute.

Tramite questo viaggio, abbiamo riconsegnato l’onore alla famiglia Marescotti e al ramo Piccolomini del Mandolo. Queste famiglie sono tutt’oggi parte fondamentale della nostra storia e meritano un posto d’onore accanto alle casate più “fortunate” del panorama storico senese.

 

Michele Vannucchi

 

Fonti usate

Sito dell’Accademia Chigiana; sito della SIAS – Sistema Informativo degli Archivi di Stato; sito della famiglia Mandoli; sito dell’archivio di Firenze; Sito Araldica Vaticana, archivio Marescotti-Ruspoli.

Tra gli storici da cui ho preso spunto cito Maura Martellucci e Roberto Cresti.

Bibliografia

Spicilegium theologicum seu difficiliores controuersiæ selectæ ..., Volume 3.
Toscana. Guida d'Italia (Guida rossa), Touring Club Italiano, Milano 2003
Archivio storico italiano di G.P. Vieusseux Tomo XXI anno 1875
Roberta Mucciarelli - L'archivio Piccolomini: Alle origini di una famiglia magnatizia: discendenza fantastiche e architetture nobilitanti, (edito in “Bullettino Senese di Storia Patria”, CIV, 1997, pp. 357–376)
Fascicolo 6436 Archivio di Stato di Firenze



ARTICOLO TRATTO DALLA RUBRICA: "STORIE DAI TERZI: TERZO DI CITTà" DEL NOTIZIARIO DEL FORUMME DEL 27 MARZO 2021

 

mercoledì 24 gennaio 2024

Maria Pia, il senso dell'appartenenza


Quando tentiamo di spiegare a qualche conoscente non senese cosa significhi realmente l’appartenenza contradaiola troviamo difficoltà nell’esprimere un concetto che per noi è così fortemente radicato e significativo, parte integrante del nostro modo di essere e di agire, ma che per chi non ha avuto la fortuna di nascere a Siena (o averci comunque un forte legame) è un qualcosa di completamente estraneo ed astratto.

E’ come tentare di spiegare l’amore a chi l’amore non l’ha mai provato: possiamo parlare di farfalle nello stomaco, di sensazioni e figure poetiche, ma il senso profondo l’altra persona non potrà mai assorbirlo fino in fondo fino a quando l’amore non lo proverà sulla sua pelle.

Maria Pia nella sua vita ha sintetizzato col suo modo di essere il significato dell’appartenenza contradaiola, o meglio di come questa con la sua portata riesca a entrarti nelle vene pur non vivendola direttamente e quotidianamente, pur vivendo la propria vita a 200km di distanza e pur non avendo mai frequentato in maniera attiva la Contrada.

Maria Pia non ha mai vissuto a Siena, è nata nel 1956 e all’epoca i suoi genitori, senesi DOC, lei del Nicchio e lui della Tartuca ed entrambi classe 1924, si erano già trasferiti per questioni lavorative in Versilia. I genitori nonostante questo hanno deciso di partorirla a Siena donandole il privilegio di poter avere l’I726 sul codice fiscale e trasmettendole fin dalla nascita tutto l’amore e la passione per la città e per i colori della Tartuca, la Contrada paterna dove la famiglia aveva la casa in Via Castelvecchio.

Maria Pia è cresciuta vivendo a distanza e nutrendosi di questo amore incondizionato, in 67 anni di vita non ha mai mancato una Carriera o una festa Titolare, non ha mai mancato una cena della Prova Generale, non è mai mancata a nessuno dei festeggiamenti per le 9 vittorie che ha avuto il privilegio di vivere. Quando ha potuto ha frequentato la Contrada, partecipando ai cenini e relazionandosi con chi in Contrada ha avuto l’occasione di conoscerla e stringere con lei un legame: sempre con discrezione e modestia, senza mai voler passare avanti a nessuno, consapevole sempre di quello che era il suo posto e senza manie di protagonismo.

Lontano da Siena ha coltivato questo suo senso di appartenenza trasmettendolo agli amici di una vita e ai propri figli, educandoli alla Contrada e ai suoi valori fin dalla loro nascita. A scuola, dove insegnava, tutti ormai conoscevano questa sua caratteristica al punto che gli studenti, quando volevano evitare una interrogazione, provavano a chiederle di raccontare qualcosa su Siena e sul Palio sapendo che lei a quel punto si sarebbe persa nell’ardore di quella sua passione: lei conosceva il trucco ma a volte ugualmente fingeva di caderci perché il desiderio di poter raccontarsi in quella veste superava qualsiasi altra cosa.

Il suo amore era viscerale, parte integrante del suo essere, inutile dire che casa sua era un santuario di tartarughe e riferimenti a Siena, che il suo abbigliamento era sempre in tonalità d’oro e d’azzurro e che i suoi occhi splendevano quando poteva raccontare cos’era Siena e il Palio.

Un modo di essere e di vivere il suo essere contradaiola che i senesi conoscono e capiscono bene e che accumuna tutti quanti, ma che di certo non è così scontato in una donna che quel senso di Contrada e di comunione ha potuto viverlo ed esprimerlo relativamente poco a causa della distanza a cui era costretta; una vita vissuta lontano ma sempre con quei due colori ad accompagnarla, una vita che fa riflettere su quanto sia forte e profondo il senso di appartenenza che solo a Siena una Contrada riesce a trasmettere ai suoi figli, vicini e lontani.

Maria Pia se n’è andata il 24 Novembre dopo un anno difficile, sofferto: dal 21 Agosto non è più tornata a casa passando gli ultimi 3 mesi in ospedale ma nonostante tutte le difficoltà che stava affrontando i giorni del Palio li ha voluti passare a Siena e il 15 sera come sempre era a cena in Sant’Agostino, il suo luogo del cuore, l’unico dove si sentiva a casa.

Il suo desiderio era di essere riportata a Siena, e così è stato, è stata portata al Laterino e ad accompagnarla nel suo ultimo viaggio c’erano Don Floriano, una bandiera della Tartuca e l’inno della Contrada. Con sè, nel suo ultimo letto, ha portato il fazzoletto della Tartuca, lo stesso fazzoletto che ha stretto a sè in questi ultimi mesi di ospedale, la madonnina del Voto e due braccialetti, uno con perle gialle e turchine, e l’altro con sopra una tartaruga. Una tartaruga impressa anche sulla pelle oltre che nel cuore nell’unico tatuaggio che avesse mai desiderato farsi.

Ciao Maria Pia, ciao madre, grazie per essere stata la persona meravigliosa che eri e grazie per averci trasmesso anche questo senso profondo di appartenenza, senso di cui a tuo modo sei stata simbolo per tutta la vita.


Simone e Elena Pasquini

Articolo pubblicato sul numero di Dicembre2023 di Murella Cronache

sabato 6 gennaio 2024

White Christmas

Poco prima del Natale del 1942 fu messo in vendita White Christmas, un disco destinato a diventare il singolo più venduto di tutti i tempi, o perlomeno rimarrà tale fino al 1997, quando verrà spiazzato da Candle in the Wind. Un anno prima, il 7 dicembre del 1941, il Giappone aveva attaccato le installazioni militari statunitensi di Pearl Harbor e gli Stati Uniti erano entrati in guerra; pertanto, il Natale del 1942 sarebbe stato il secondo con milioni di ragazzi americani all’estero per la prima volta nella loro vita, lontani dalle loro case e dalle loro famiglie. I soldati americani al fronte sentirono subito White Christmas come il canto che sapeva esprimere i loro buoni sentimenti, la nostalgia per le loro vite interrotte e per i loro riti sospesi. L’autore della canzone, Irving Berlin, ebreo russo emigrato negli States a fine Ottocento, seppe comporre un inno al Natale senza riferimenti cristiani, ma incredibilmente evocativo di tutti i sentimenti che si accompagnano a questa Festa. La canzone faceva parte della colonna sonora del film Holiday Inn con Fred Astaire e Bing Crosby, che seppe interpretare magicamente con la sua morbida voce questa canzone natalizia rendendola un successo senza precedenti. White Christmas seppe consolare gli americani in quel Natale del ’42, ma soprattutto seppe esprimere la retorica statunitense trasfigurando il Natale nell’immaginario di tutti i popoli che dopo la guerra sono entrati in contatto con la cultura statunitense. Dopo White Christmas il Natale di Hollywood diventerà il Natale globale – occidentale. Questo fenomeno di globalizzazione culturale è stato portato avanti da cinema, musica e pubblicità dei prodotti americani. La Coca Cola ha contribuito alla creazione del “Natale Americano” vestendolo con i suoi colori bianco e rosso e riproponendo negli spot più riusciti le note di White Christmas.


In Italia questa visione del Natale arrivò dopo la guerra. Da noi la percezione della Festa era legata alla ritualità cristiana, soprattutto francescana. Fu, infatti, San Francesco ad “inventare” il Natale come lo abbiamo vissuto e percepito, finché il consumismo non ci ha sedotto definitivamente. La canzone di Natale più amata dagli italiani è sempre stata “Tu scendi dalle stelle”, composta da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. La Festa era prevalentemente cristiana, completamente scevra dalla nevrosi consumistica, i regali non esistevano, finite le feste la befana riempiva la calza ai più piccoli ed era facile trovarci noci, mandarini e carta di giornale appallottolata insieme alle caramelle.

Nel secondo dopoguerra hanno coabitato nelle nostre case il Natale cristiano e quello sincretista-consumista, il primo rappresentato dal presepe, il secondo dall’albero, il primo con canti religiosi, il secondo con canti laici. Entrambi belli fino allo struggimento sentimentale.

Alla Messa ci si andava perché ci si credeva davvero, quella della Notte di Natale era una celebrazione diversa da quella delle domeniche ordinarie, perché alla Messa ci si andava tutte le domeniche che Dio metteva in terra. Poi, con il tempo, con il disincanto, con la perdita del senso religioso, con il ’68 e la contestazione, dopo il Concilio Vaticano secondo, moltissimi hanno continuato a frequentare la Messa soltanto la notte di Natale per tradizione (qualcuno si è avventurato anche a quella di Pasqua), senza sapere che la Messa (anche quella di Natale) è la commemorazione della Pasqua. Infine, negli ultimi anni, alla Messa ci andavano soltanto i pochi che ancora la frequentano durante tutto l’anno. Quest’anno, invece, è presa la fregola a tanti di volerci ritornare per forza. Mica per l’Eucarestia, per carità, per quella sono necessari alcuni presupposti che mancano totalmente in persone che vorrebbero vivere un Sacramento per sottolineare un’ideologia pseudo politica.

Per concludere questa mia inutile polemica natalizia, che ben si inserisce nelle migliori tradizioni del pranzo di Natale, quando c’è sempre un parente che, dopo aver ecceduto con il vino, si abbandona a sterili polemiche sui più svariati argomenti, me la voglio prendere con lo shopping compulsivo natalizio. Ben venga il flusso di denaro, o di moneta elettronica, ben vengano gli acquisti esagerati, io per primo adoro il superfluo e voglio che l’economia possa riprendere. Sono il primo che adora il denaro e tutto quello che con il denaro mi illudo di poter comprare. Ma il rito dello shopping deve essere accompagnato da un sottofondo di musica da intrattenimento, note e parole che facciano parte del music-business internazionale, come White Christmas ci ha insegnato. Se dagli altoparlanti vengono diffusi gli orgasmi di un film porno, come è successo nei giorni passati a Vieste, o peggio ancora dovessero essere diffusi inni sacri, voi mi capite, non si rende il giusto servizio al demone consumista, gli inni sacri non fanno assolutamente parte della ricetta del frullato natalizio. Allo stesso modo si addobbino le strade e le vetrine con i colori istituzionali della festa commerciale, senza andare a cercare simboli che non appartengono al Natale. Le cose sacre si lascino alle occasioni adeguate. E chi non lo capisce è lo stesso, che prima di Pasqua, confonde una parte anatomica con il rito religioso delle quarant’ore.

di Jacopo Bartolini

ARTICOLO TRATTO DAL NOTIZIARIO DEL FORUMME DEL 25 DICEMBRE 2020


sabato 30 dicembre 2023

La Torre... che Mangia! - Il Panforte d'Agosto

Come diceva da piccino il mi’ nipote Filippo, “la torre che mangia” e non “del Mangia”… e direte voi, ti pareva strano che questi ‘briachi del Forumme non finissero a parlare di mangiare e bere?! Ma non era un notiziario “culturale”?! Diamine, lo è… ma abbiate pazienza cittini, cosa è la cucina se non storia, tradizione e cultura di qualsiasi popolo della terra?!

.….

Che v’ho chetato?! Bene, seguito! Allora s’incomincia!

Innanzitutto, dobbiamo rendere omaggio al vero ispiratore di questa impresa, senese illustre e compianto, il Pellegrino Artusi del Ponte di Ravacciano, ovvero Giovanni Righi Parenti. Nell’anno in cui il sottoscritto vide la luce, il suddetto dette alle stampe della Tipografia Ugo Periccioli (altro grande senese ma soprattutto selvaiolo) un volumetto chiamato “Mangiare in Contrada”, corredato di foto e illustrazioni, in cui le ricette sono suddivise per ciascuna consorella, raccolte intervistando chi, all’epoca, si occupava di preparare i convivi nelle cucine delle società.

Un vero e proprio manuale che la mi’ Zia mi regalò quando stavo per raggiungere i 18 anni, e già mi dilettavo ai fornelli da qualche anno. Passai quell’invernata (parecchio lunga e diaccina, ma riscaldata dall’impresA storicA della Robur) a provare alcune delle ricette che Righi Parenti aveva trascritto. I risultati furono - diciamo così - alterni, ma non per questo scoraggianti (il mì babbo forse avrebbe qualcosa da obbiettare, ma pace! ormai le pene sono in prescrizione). Anzi, ricordo che fu proprio allora che affinai la tecnica ai fornelli e al forno, cercando di non farmi prendere dalla mia tipica irruenza, né dalla prescia, e di andarci piano coi condimenti (specialmente col pepe nero! il sale, invece, per me è sempre rincarato).

In questa rubrica desideriamo quindi, senza abbandonare lo stile molto discorsivo e colloquiale del nostro sommo ispiratore, riportare alcune di quelle ricette, senza dimenticare qualche trucco personale che ho aggiunto, grazie a qualche ritrovato più moderno o alle semplici “esperienze” (leggi: troiai combinati) nel realizzarle.

Siamo quindi a Natale, e non c’è tavola senese dove non ci sia il Panforte a fine pasto. Tutti i dolci natalizi tendono ad avanzare, ma questo in modo particolare (complici i gusti molto diversi delle nuove generazioni), a meno che non sia quello che fa in casa la mia amica Monica: quello come lo metti in tavola, pare di buttare il granturco in mezzo ai piccioni di Piazza!

Cosa fare quindi del Panforte avanzato? Semplice: un bel Semifreddo!


in questo caso abbiamo servito il Semifreddo di Panforte con del cioccolato fondente grattugiato sopra, che potete aggiungere o meno, a vostro gusto!


Righi Parenti lo chiama “Panforte d’Agosto”, perché dice che va preparato in piena estate (tanto ormai il Panforte lo fanno tutto l’anno per i turisti!), chiaramente servito dopo un passaggio in congelatore di almeno 5 ore. Ma perché non farlo adesso, magari per l’Ultimo dell’Anno o per Befana? E chi ci vieta di farlo a Pasqua o per Santa Caterina?!

Scherzi a parte, prendete il Panforte (piuttosto abbondante) e sminuzzatelo quanto vi piace. Io consiglio di fare alcuni pezzi molto fini e di lasciarne altri più grossolani, per contrasto. Dopodiché, si prende una zangola fredda di congelatore, ci si mette mezzo litro di panna fresca, sempre fredda, e si monta fino a rassodarla bene bene, aggiungendo mezzo cucchiaino di cannella in polvere ed un paio di cucchiai rasi di zucchero, non di più: il Panforte è bell’e dolce di suo! Mescoliamo delicatamente i Pezzettini di Panforte alla Panna (e a questo punto, se volete, qualche mandorla intera, o tritata grossolanamente, male non ci sta!) ed infine incorporiamo, sempre con la massima grazia, sennò si smontano, due albumi freschissimi montati a neve ben ferma, sempre con un cucchiaio di zucchero e un pizzico di sale. A questo punto si può mangiare? No davvero! Il composto va messo in frigo per almeno un pomeriggio, sia in una ciotola unica che “porzionato”, come vi garba di più!

Se veramente volete fare un bel Gelato al Panforte, invece che con lo zucchero, la panna va montata con un tubetto di latte condensato, un trucco di recente scoperta per non far cristallizzare eccessivamente il composto in congelatore. Prima di portarlo a tavola, come ogni gelato casalingo che si rispetti, meglio se lo mettete un quarto d’ora in frigo, sennò è duro come un leccio!

Altro trucco: oltre che al Panforte, il semifreddo/gelato può essere fatto di Ricciarelli, ma regolatevi ancora di più con lo zucchero, o stuccherà davvero troppo. Coi cavallucci no, meglio zupparli nel vin santo (se il mi’ babbo si degna di farli avanzare… sie, addio nini!). In tutti i casi, se avete per casa qualche mandorla, mettetela sopra il semifreddo o il gelato a guarnizione, ci starà a pipa di cocco!

Vino d’accompagnamento: Vin santo del prete (ma non vi fate beccare attaccati alla bottiglia in sagrestia, come successe a me!), oppure un Mirto freddo o un liquore al Cedro che riprende i canditi del Panforte.

Se il Semifreddo è di Ricciarelli, l’Amaretto di Saronno ci sta come il Cencio in Chiesa la sera del Palio! Buon Appetito, Buon Natale, Buona Fine e Miglior Principio! (e mai come quest’anno s’aspetta tutti di finillo!)

Matteo Ricci


ARTICOLO TRATTO DAL NOTIZIARIO DEL FORUMME DEL 25 DICEMBRE 2020




domenica 17 dicembre 2023

Iconografia evangelica senese: l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività

Opera di Riccardo Manganelli
Nessun sistema teologico incentrato sulla figura di Gesù di Nazareth può essere elaborato senza produrre una narrazione della sua vita e per converso, nessuna storia di Cristo può evitare di dar luogo ad una qualche forma di teologia.

Il principio di ciò è che il Cristianesimo pone, al centro del proprio sistema di interpretazione del mondo, un personaggio realmente esistito che può essere inserito in un arco temporale ben preciso. Di lui si può dire che nacque tra il 4 a.C. e il 6 dell’era volgare, era di origine galilea, fu predicatore, profeta e annunciatore del “Regno di Dio” nella Palestina del I sec., guadagnandosi un forte consenso popolare; morì crocifisso tra il 30 e il 33, ai tempi in cui Caifa rivestiva la carica di sommo Sacerdote del Tempio e Ponzio Pilato era prefetto della Giudea.

Questi dati sono stati tratti dai vangeli e da altre fonti antiche, ma non sono sufficienti ad inquadrarlo in campo storico.

L’esigenza di comporre dei resoconti relativi alle azioni di Cristo si sviluppò molto presto con la diffusione dei racconti orali, detti aneddoti, aforismi, poi scritti secondo una sequenza, assieme tematica e cronologica.

Si fa riferimento a gli scritti di Luca, che lui stesso definisce “un racconto ordinato”. In realtà la descrizione dei fatti di Gesù spesso si rivela come un’esigenza di raccordare la sua figura con prefazioni bibliche del Messia, invece di descriverne la sua successione, facendo risultare la narrazione lacunosa e delle volte anche contraddittoria.

Andando avanti con il tempo si centra la figura di Gesù collegandolo “all’economia” della salvezza, così si ebbe bisogno di approfondire questa figura e di integrare l’incompletezza dei testi sacri con altre fonti storiche.

Come si legge in un’antico testo di San Nilo di Ancira, indirizzato a Olimpodoro, il Sinaita chiede all’amico di rivolgersi al miglior artista che può trovare, affinché con la sua arte dipinga i “due lati della chiesa con scene dell’antico e nuovo Testamento, cosicché gli uomini che non sanno leggere possano conoscere la Sacra Scrittura, osservando la pittura, e siano incoraggiati ad emulare le memorabili virtù di questi servitori di Dio”.

L’evoluzione iconografica di quelle immagini e i modelli che esse produrranno, diventeranno un vero e proprio repertorio, non solo per i fedeli ma anche per i committenti e soprattutto per gli artisti che li dovranno realizzare.

A Siena il primo ciclo cristologico completo e superstite, si trova negli affreschi realizzati nei locali sotto il Duomo, databili tra il 1270 e il 1280. Altro complesso figurativo che illustra gli episodi evangelici, sempre presente a Siena lo troviamo nella parte posteriore della Maestà di Duccio, commissionata per l’altar maggiore della cattedrale senese e terminata nel 1311; essa costituirà il modello al quale si ispireranno i committenti e gli artisti a partire dagli anni venti del Trecento, quando si dovranno realizzare tavole con il ciclo evangelico di Cristo o anche solo singoli episodi della vita di Gesù.

Con il passare del tempo si è avuto uno sviluppo di alcuni temi cristologici anche presso committenti privati cosicché, accanto a raffigurazioni per decorare edifici religiosi, troviamo anche dipinti per la decorazione di cappelle o di altari presso ricchi privati, questo gia’ alla fine del XIII secolo.

Importante valutazione è che vi è un’importante relazione di queste raffigurazioni con le attività che si svolgono durante l’anno liturgico, il quale inizia proprio con l’Avvento e dunque con le festività del ciclo natalizio, che si concludono con l’Epifania, proseguendo con la Presentazione al Tempio, tutto il tempo della Quaresima fino alla Pasqua.

Questa parte dell’anno prende il nome di Temporale, poiché è dedicato alle festività di Cristo che si conclude con l’ultima domenica dopo la Pentecoste. A questo periodo si integra il periodo cosiddetto Santorale, che vede le festività dei Santi e della Madonna.

Fin dal IV secolo, si hanno delle raffigurazioni che contengono temi come l’Annunciazione, la Natività, la Strage degli Innocenti e l’Adorazione dei Magi, non tanto per la loro “storia”, ma quanto per il messaggio salvifico e dottrinale che contenevano in se.

Le fonti canoniche principali per le illustrazioni della nascita e dell’infanzia di Cristo sono Luca e Matteo , tra i due il primo ci fornisce notizie più’ dettagliate circa questi due momenti della vita di Gesù.

Il primo episodio che ci viene narrato è appunto l’Annunciazione, e anche se tali raffigurazioni traggono origine dal Vangelo di Luca, a partire degli inizi del V secolo il contenuto iconografico di questa scena si arricchisce di particolari narrati nei testi apocrifi, soprattutto da quanto è riferito nel Protovangelo di Giacomo. Questo introduce caratteri originali che attraverso i secoli caratterizzeranno la produzione figurativa di questo soggetto cristologico.

La più antica illustrazione dell’Annunciazione che ci è stata tramandata a Siena, si trova in una miniatura all’interno dell’Ordinario della Cattedre del 1215.

Opera di Adige Bartalozzi

Il 25 Marzo per la commemorazione di quella festività, nella A di Annuntiatio nostri Salvatori, è raffigurata la scena dell’Annunciazione, nella parte inferiore si trova la Madonna con le mani giunte in preghiera, con indosso il maphorion , simbolo della sua verginità, che le copre il capo, dietro il quale è raffigurata un’aureola; di fronte a lei vi è una pianta fiorita, probabilmente simbolo di Vita ma anche di albero della tentazione, mettendo così in relazione Eva e la Madonna, il Peccato Originale e la Redenzione; nell’occhiello superiore appare l’Arcangelo Gabriele, che con le braccia tese verso Maria compie il gesto dell’annuncio.

Questa la prima raffigurazione, che assolve pienamente la funzione di illustrazione del testo biblico ed è l’inizio di una tradizione iconografica destinata ad imporsi nel tempo.

Se guardiamo il primo ciclo di affreschi sotto al Duomo, quello che troviamo è un’iconografia più tradizionale, poiché i due “attori” sono posti sono l’uno davanti all’altra con delle quinte architettoniche, che alludono alla città di Nazareth.

La tavola di Simone Martini, invece propone elementi nuovi. Eseguita nel 1333 per l’altare di sant’Ansano del Duomo, è la parte centrale di un polittico; questo fatto consolida il legame con il programma iconografico della decorazione del transetto della cattedrale senese, e sottolinea ancora di più la relazione di questi oggetti con le cerimonie liturgiche svolte durante l’anno.

Sono presenti anche due figure laterali, sant’Ansano a sinistra e Santa Messina a destra, madrina di battesimo di Ansano, martirizzata a Roma sotto Diocleziano nel IV secolo; una novità è anche il ramo di olivo che torna in mano l’ Arcangelo, e ai gigli posti dentro ad un vaso nella parte centrale, che insieme alle rose sono fiori del Paradiso e simboleggiano vita e in questo caso simboleggiano luce, anche se Bernardo di Chiaravalle nel suoi Commentari questo fiore lo interpreta come simbolo di Cristo, in relazione a tutti i momenti della sua vita, in questo caso nell’Incarnazione.

L’episodio che precede la Natività è la Visitazione, che però sia nell’arte figurativa senese e anche occidentale ha poche varianti, come anche del resto nella tradizione iconografica bizantina.

Essenzialmente esistono due varianti della Visitazione, una in cui Elisabetta e la Madonna si abbracciano e l’altra in cui le due cugine conversano amabilmente con composta nobiltà. Ovviamente la prima versione è quella più realizzata, come possiamo ammirare nell’affresco del Sodoma nell’Oratorio di San Bernardino a Siena; realizzata tra il 1515 e il 1516, raffigura l’emozione che sta per esplodere tra le due donne, sottolineato dal gesto appassionato e drammatico dell’inchino di Elisabetta, emozione contenuta invece in tutti gli altri personaggi che sono alle spalle delle due donne, Giuseppe alle spalle di Maria, Zaccaria alle spalle di Elisabetta e dei giovani, uomini e donne, che assistono al momento.

Proseguendo nella lettura del testo evangelico si arriva alla narrazione della Natività di Cristo.

Trattato molto sinteticamente sia da Matteo che da Luca, ed è proprio la brevità della narrazione che ha consentito alla tradizione iconografica cristiana di arricchire la scena della Natività di particolari che traevano origine sia dai testi apocrifi, sia dalla produzione letteraria strettamente legata alla liturgia, partendo da Bernardo di Chiaravalle, fino ad arrivare alla Legenda Aurea, ove Iacopo da Varazze riprende molte volte il misticismo cistercense di Bernardo.

Così nell’iconografia della rappresentazione della Natività si assiste ad un’arricchimento nelle rappresentazioni, che da semplici raffigurazioni ove vi è un Gesù Bambino in fasce posto dentro ad una mangiatoia, insieme al bue e l’asinello, diventano scene ricche di personaggi e più complesse di struttura. Una svolta importante lo dette il Concilio di Efeso del 431, nel quale la Madonna viene proclamata Theotókos, cioè Madre di Dio, e che porta alla diffusione di una raffigurazione della Natività, in cui la Madonna appare in trono col Bambino, ed è proprio a Siena che avviene ciò. Nel 1215, il miniatore che decorò l’Ordinario della cattedrale ad uso dei canonici, raffigurò, per illustrare la festività del Natale, una Madonna in trono con il Bambino; e come per l’Annunciazione, la miniatura è inserita nella lettera N, che significa  Nocte illa sancta e costituisce l’inizio dell’Ufficio della Natività.

La Vergine è seduta in trono con cuscino e tiene sulle ginocchia Gesù Bambino benedicente, questa è una raffigurazione molto legata alla liturgia, che si ritrova anche negli affreschi dei locali sotto il Duomo di Siena.

Nicola Pisano nel 1267 per il pulpito del Duomo invece, rappresenta una scena molto “complessa” , ovvero insieme alla Natività , mette anche l’Annunciazione , la Visitazione e l’Annuncio ai pastori

I committenti chiesero a Nicola di raffigurare la Natività secondo la tradizione figurativa orientale, mostrando in primo piano il Bagno di Gesù con le sue levatrici. La composizione vede una Madonna posta al centro, distesa su di un cuscino, avvolta nel suo maphorion, e con la testa voltata verso sinistra, come una donna appena uscita dalla sofferenza del parto; questi elementi rendono la Madonna più umana, facendoli perdere quella “maestà” che aveva nelle raffigurazioni più antiche.

Gesù è avvolto in fasce, all’interno di una grotta gli fanno caldo il bue e l’asinello; tutti questi elementi hanno riscontro sia nella letteratura cristiana sia canonica che apocrifa, ed hanno dei significati ben precisi: la grotta è in relazione con il sepolcro che accoglierà Cristo dopo la sua morte, ma anche con l’Ade ove Gesù scenderà dopo la Resurrezione; il bue e l’asinello, in principio rappresentano l’umanità di Dio nato sulla terra.

Come detto sopra, in primo piano vi è il Bagno di Cristo, la cui fonte si trova nel Protovangelo di Giacomo, ma anche nel Vangelo dello pseudo-Matteo ed è rielaborata nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Questo episodio viene raccontato anche nei vangeli apocrifi, e simboleggia la natura umana di Cristo.

Questa variante si trova spesso nella produzione figurativa senese, anche in epoche diverse, come si vede in un frammento di un’affresco in monocromo, facente parte di un ciclo cristologico scoperto nella Chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano, eseguito da Bartolo di Fredi negli anni sessanta del Trecento.

Qui il bambino è rappresentato una sola volta, nel catino, mentre le levatrici gli fanno il bagno, la mangiatoia è all’interno della grotta vuota, e sono presenti, a destra, i pastori che rappresentano l’Annuncio ai pastori.

Un caso particolare riguardante la raffigurazione della Natività, sta nella tavola che era collocata all’altare di San Vittore nel Duomo di Siena, poiché rientrava nel programma iconografico della decorazione degli altari dei Santi Patroni; da alcune testimonianze sappiamo che all’altare di San Vittore vi era una Natività, segnalata nel 1575 da Monsignor Francesco Bossi, durante la sua Visita Pastorale.

Nel 1591, nell’inventario, troviamo scritto che all’altare di San Vittore vi era una tavola attribuita a Bartolomeo Bulgarini, dipinta tra il 1351 e il 1361.

Questa aveva due pannelli laterali su uno dei quali era rappresentato il santo Titolato a figura intera, e nell’altra la Santa Corona.

Dalla seconda metà del XV secolo alla prima metà del secolo successivo, vi è un cambiamento dato dalla sostituzione della grotta con elementi architettonici classici o rovine di edifici; si vede quindi la Madonna insieme ad un pensieroso San Giuseppe e due angeli, uno dei quali è l’Arcangelo Gabriele, protettore fin dalla nascita di Giovanni Battista, anche lui figura presente da questo momento in poi, nella scena della Natività è che sta a preannunciare l’incontro con Cristo, sul fiume Giordano ed il suo Battesimo.

Concludo questa rassegna “Natalizia” con un’opera tutta senese, realizzata da Domenico Beccafumi, verso il 1522, per l’altare di San Giuseppe, di patronato della Figlia Marsili, che si trova nella chiesa di San Martino a Siena.

Qui i protagonisti sono raccolti nei pressi di un’arco di trionfo; tra bagliori rossastri che si stemperano in un tenue azzurrino dello sfondo, giungono i pastori in fila ordinata e in prima battuta vi sono gli “attori” principali che risaltano per la vivacità dei colori e il calore che emanano le loro gesta, un San Giuseppe, che ricorda molto la figura di San Paolo che proprio Beccafumi aveva realizzato qualche anno prima per la cappella di San Paolo nel Tribunale della Mercanzia a Siena,  rivolto al Bambino, con il suo sguardo attento e protettivo; una Madonna che, con un gesto quasi pauroso, svela il suo frutto, con sguardo amorevole e assorto, che Gesù contraccambia, il suo corpo fanciullesco ama a una luce mistica.

Su tutti, come in un rito magico, incombono quattro angeli seminudi, che formano con le loro braccia un cerchio perfetto, che ci ricorda prima gli angeli di Rosso Fiorentino, e poi la Danza di Henrique Matisse agli inizi del Novecento, al cui centro plana la colomba dello Spirito Santo.

Il modello iconografico che vediamo qui, con la Madonna che scopre Gesù, ricorda alcuni dipinti di Raffaello come la cosiddetta Madonna del velo, anche se qui il Beccafumi, usa un linguaggio figurativo più’ nervoso, raffinato e distaccato.

 

Caterina Manganelli

per le opere raffigurate si ringraziano le famiglie dei rispettivi autori

Opera di Giovanni Terzo Vannucchi

ARTICOLO TRATTO DAL NOTIZIARIO DEL FORUMME DEL 25 DICEMBRE 2020


mercoledì 13 dicembre 2023

Notiziario 2.0 – Il Forumme della Piazza si rinnova

Santa Lucia, una delle feste più amate da tutti i senesi, quale miglior occasione oggi per farvi come Forumme della Piazza un nuovo omaggio?

Ed eccoci allora, dopo una lunga attesa, a presentarvi il nostro nuovo progetto: il Forumme della Piazza si rinnova ed apre un nuovo sito internet sul quale verranno pubblicati tutti i nostri vecchi e nuovi articoli. Un cambio di rotta importante che comporta quindi l’abbandono dei nostri notiziari in formato PDF che ci hanno accompagnato dal primo numero del 26 Aprile 2020 fino all’ultimo, il venticinquesimo, del 1° Aprile 2023.
Un percorso, quello del Notiziario, iniziato nel pieno della pandemia come omaggio alle Contrade orfane delle proprie feste titolari: un percorso per il Forumme iniziato in realtà molto prima con il progetto conferenze nel 2018 all’indomani del Palio Straordinario.

Venticinque edizioni, quasi 300 articoli, un lavoro immenso portato avanti da un gruppo di amici e da una nutrita schiera di collaboratori esterni tra i quali spiccano nomi importanti della cultura senese.

Su questo sito pubblicheremo con cadenza periodica articoli inediti, proseguiremo le rubriche che ci hanno contraddistinto, e allo stesso tempo riproporremo in questa nuova veste gli articoli che al momento sono all’interno dei nostri PDF e che per questo motivo sono di più difficile fruizione.

Sul sito potrete tuttavia facilmente rintracciare i notiziari già pubblicati, potrete scaricarli e riscoprirli e potrete fare una ricerca degli articoli anche tramite le pagine dedicati ai singoli autori.

Al momento vedete l’elenco degli articoli ma non potete ancora aprirli (se non scaricando il relativo PDF), ma ogni qualvolta che un articolo verrà riproposto il collegamento diverrà attivo e la nostra idea è che presto tutto il sito possa essere completamente fruibile.

Presto poi amplieremo il sito con pagine dedicate alle conferenze che abbiamo tenuto in questi anni e con tutto ciò che ci ha visto protagonisti, per avere traccia di un percorso appassionato che ci ha gratificato, ci ha fatto crescere, e che speriamo possa aver donato qualcosa alla comunità senese e contradaiola.

Speriamo che questo nuovo inizio del nostro viaggio insieme sia per voi un gradito omaggio in questa giornata di festa, sempre nel nome di Siena e dei senesi.

A presto con i nostri articoli!




Ettore, un Panterino che conquistò il mondo

  Una Porsche rossa che saliva le curve di San Marco, per arrivare in modo impaziente nel suo Pian dei Mantellini, dove ad attenderlo c’eran...