domenica 11 agosto 2024

Il cappotto nicchiaiolo del 1834

 

Fare cappotto è di per sé un’impresa eccezionale riuscita solo diciassette volte nella storia, tra questi vi è quello conquistato dal Nicchio nel 1834 che ha una caratteristica unica essendo il solo realizzato, o per meglio dire completato, con l’apporto di un cavallo scosso.

Ma andiamo con ordine, per il Palio di luglio il Nicchio ebbe in sorte il cavallo del momento un forte morello di Lorenzo Jacopi reduce dal cappotto, insieme a Giovanni Brandani detto “Pipistrello”, dell’anno precedente.

Per il Capitano Paolo Tognazzi venne quindi naturale riformare l’accoppiata che aveva dominato nel 1833 anche se va sottolineato che in agosto il morello dello Jacopi vinse scosso dopo la caduta di Pipistrello al primo San Martino.

Non è da escludere che nella scelta del capitano nicchiaiolo influì anche un fattore scaramantico visto che l’ultima vittoria del Nicchio, arrivata dopo ventisette anni di digiuno nell’agosto 1826, era stata conquistata da Luigi Brandani detto “Cicciolesso”, ossia il babbo di Pipistrello.

La carriera definita scellerata, ovvero poco spettacolare, dai cronisti dell’epoca, fu come da pronostico dominata dal Nicchio: dopo una mossa problematica, per via dell’assembramento di cavalli creatosi verso lo steccato, partì in testa l’Onda con l’esperto Bonino ma Pipistrello, anche sfruttando una serie di clamorosi errori altrui, al primo San Martino era già saldamente in testa.

Il solo a portare qualche insidia al battistrada fu il Gobbo Saragiolo nell’Oca ma Pipistrello non ebbe difficoltà ad incrementare il suo vantaggio spalleggiato, come in altre occasioni, dai parenti Ghiozzo nel Bruco, Giacco nella Chiocciola e Brutto nel Leocorno, altri esponenti della dinastia dei “Brandini” che visse in quegli anni il momento di maggiore prestigio e potenza.

La vittoria fu ovviamente salutata con entusiasmo dai nicchiaioli che qualcuno definì, senza troppi giri di parole, “infanaticati”, anche il giro vittorioso confermò questo stato di esaltazione collettiva: “…il Palio è rimasto in giro per tutto il giorno, badiamo che non abbiamo a seguire i fatti per la troppa allegrezza dei vincitori…”



Il Palio d’agosto si presentava, invece, molto più incerto soprattutto per l’assenza del morello dello Jacopi, dominatore dei tre Palii precedenti e per la mancanza di significativi punti di riferimento vista la scelta di ben sette barberi debuttanti.

Pipistrello venne naturalmente confermato dal Nicchio su un baio oscuro esordiente su cui esistono divergenze circa il nome del proprietario, per alcuni Giovanni Batazzi per altri Gaetano Santi.

Il valore omogeneo dei cavalli si confermò durante la corsa che ebbe il suo primo sussulto a San Martino dove, a strettissima distanza, girarono ed iniziarono un’accanita lotta di nerbate il Gobbo Saragiolo nella Selva, Bonino nell’Onda e Pipistrello che però cadde malamente al secondo passaggio davanti alla Cappella.

Lo scosso del Nicchio rimase comunque nella scia dei primi nonostante il Gobbo Saragiolo l’avesse preso per le briglie e negli ultimi metri ebbe un guizzo irresistibile andando a precedere di un soffio la Selva e l’Onda.

L’arrivo fu, cosa frequente in quegli anni, aspramente contestato con tre popoli a reclamare la vittoria, a risolvere la questione ci pensò il Granduca Leopoldo II, presente al Palio con la famiglia, il quale confermò, senza possibilità d’appello, il verdetto dei Giudici della Vincita con un lapidario e leggendario “Nicco scosso!”, frase che diventò il sigillo per l’insperato cappotto.

Per Pipistrello fu quella la quarta vittoria consecutiva, ottenuta peraltro in sole otto presenze con l’ausilio fondamentale della bea bendata che mise le ali a due cavalli scossi.

Nel luglio 1836, per la Tartuca, Pipistrello conquistò la sua quinta ed ultima vittoria chiudendo la sua breve e fulminante carriera con la quattordicesima partecipazione nell’agosto 1838.

Curiosamente il Nicchio negli anni successivi, pur montando spesso fantini appartenenti alla famiglia Brandani, tra cui babbo Cicciolesso, non si rivolse più al protagonista del cappotto del 1834 che per questo rimase imbattuto col giubbetto dei Pispini.


Roberto Filiani

Foto Marc De Hert

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 9 Agosto 2020 dedicato alla Nobile Contrada del Nicchio

domenica 4 agosto 2024

Alla scoperta del Pensionario

Intervista al Tenente Colonello Carlo Saveri dell’Arma dei Carabinieri realizzata per il Notiziario del Forumme del 13 Agosto 2020

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Spesso durante le sere di inverno o nella frescura di quelle estive ci ricordiamo degli anni passati, dei palii corsi e cominciamo a parlare di speranze frantumate, lacrime versate e ovviamente di cavalli. Perché in fondo lo sappiamo: sono loro i veri protagonisti della corsa, sono loro che benediciamo e che accompagniamo con gli occhi carichi di emozione e speranza e sono sempre loro che alla fine ringraziamo di aver realizzato il nostro sogno di vittoria. Molto spesso ci chiediamo quale sia la vita condotta dai "barberi" una volta terminata la loro carriera sul tufo. Molti rimangono dai loro proprietari trattati come figli, altri invece sono accuditi con altrettanta cura e zelo nel pensionario.

Di questa istituzione presente sul territorio senese da quasi trent’anni, poco o nulla sapevamo a parte che fosse un paradiso per i cavalli.
Grazie alla disponibilità del Tenente Colonello Carlo Saveri dell’Arma dei Carabinieri, Comandante del Reparto Carabinieri Biodiversità di Siena abbiamo avuto modo di approfondire alcuni aspetti riguardo l’origine e le funzioni di questa struttura.


Zullina (nata nel 1995; 1 Palio corso +1 a cui non ha partecipato per iperpiressia , esordio: 2 luglio 2001, ultimo Palio: 2 luglio 2001. Dal 2001 risiede al pensionario).


Quali sono le origini del Pensionario?

“Il Pensionario nacque nel 1991, grazie ad un accordo tra il Comune di Siena e il Corpo Forestale dello Stato. Abbiamo sempre avuto un grande rapporto di collaborazione col Comune e l’idea di un Pensionario per i cavalli del Palio fu un progetto all’avanguardia per l’epoca e molto originale.

Per tanti anni, per convenzione, il Corpo Forestale ha sostenuto tutti i costi del Pensionario. Da qualche anno anche il Comune contribuisce con una quota alle spese del Pensionario; la convenzione è triennale.”

 

Quali sono le funzioni del Pensionario? Come viene gestito?

“Oggi, rispetto al passato, è cambiato molto il modo di allenare e utilizzare i cavalli destinati anche al Palio, grazie pure al Protocollo Equino del Comune di Siena. Cavalli come quelli che avete visto con noi, stando alla nostra esperienza, arrivano a vivere anche fino intorno ai 30 anni. È un dato interessante questo, perché non vi sono molte conoscenze sulla vera durata della vita dei cavalli.

Il Pensionario, come struttura, si trova all’interno di una Riserva naturale dello Stato, la riserva di Palazzo, perché noi come Reparto gestiamo Riserve dello Stato. Abbiamo 5 Riserve, fra cui questa di Siena che è la più piccola.

Il Pensionario è formato da tanti pascoli recintati e box con paddock; si parla di 250 ettari, la metà circa è costituita da boschi, 20/30 sono riservati ai prati coltivati per il foraggio destinato ai cavalli, il resto sono paddock (28 sono i cavalli presenti, tra questi 6 del Palio)(dati 2020 ndr).  Quando il cavallo arriva per la prima volta, in molti casi, è passato prima dalla clinica veterinaria del Ceppo, lo teniamo in box per un breve tempo; successivamente lo abituiamo gradualmente  a stare al pascolo. La vita migliore per loro è all’aperto, infatti, passato il periodo iniziale vivranno sempre all’aria aperta, salvo l’insorgere di problemi particolari, in questi ampi recinti dotati di abbeveratoi e tettoie, dove potranno pascolare tutto l’anno. Vengono comunque alimentati ogni giorno con mangime e fieno. Siamo dotati inoltre di un maniscalco di servizio e di un veterinario convenzionato.”

 

Ancora oggi gestite l’allevamento dei cavalli grazie all’incremento delle fattrici?

“Noi non gestiamo più l’allevamento per quel tipo di cavallo. Prima facevamo allevamento anche della razza anglo-araba e poi addestramento. Non lo facciamo più perché negli anni abbiamo ridotto e reindirizzato le attività allevatoriali.

Questo Reparto ha quasi un secolo di storia e, in passato, cioè negli anni, sostanzialmente, Cinquanta, Sessanta e inizio Settanta, quelle che poi sono diventate riserve naturali erano aziende pilota, quindi l’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, gestiva questi terreni con l’intento di creare delle attività economiche nelle aree montane e collinari marginali, e la maggior parte delle attività che sviluppava erano di tipo allevatoriale, soprattutto bovini e suini, al margine equini. Successivamente molte cose sono cambiate e adesso alleviamo soltanto razze in via di estinzione come il cavallino di Monterufoli e l’asino amiatino.”



Oltre alle attività allevatoriali, poi cessate, avete mai pensato di reinserire cavalli, che in passato avevano ben recuperato da un infortunio, laddove ci fossero stati presupposti, in attività diverse come passeggiate o competizioni?

Questo no, non si è mai fatto. Quando escono dal Ceppo, vengono da noi solo se possono vivere autonomamente la loro vita, devono essere in grado di potersi muovere liberamente e talvolta riacquistano andature che sembrano normali, ma non sono mai stati montati e utilizzati.

 

Qual è il futuro e quali sono le prospettive della struttura?

“Il futuro della struttura, lo vedo positivo, così come è stato positivo il passaggio dal Corpo Forestale all’Arma dei Carabinieri. Per cui stiamo andando avanti con tutte le attività tradizionali, il settore biodiversità è divenuto una specialità dell’Arma dei Carabinieri.”

 

Ci sono anche altre attività come la vostra nel mondo paliesco al di là di Siena?

“Come Corpo Forestale prima ed Arma dei Carabinieri adesso, non ci sono altri esempi come il nostro, questa nostra è una realtà unica. “

 

I contradaioli, le Contrade, gli affezionati, vengono a visitare questi cavalli?

Si, negli anni sono venuti molti gruppi da Siena,  anche di giovani contradaioli, soprattutto nel periodo estivo.”



Altoprato (nato nel 1996; 9 Palii corsi, esordio: 9 settembre 2000, ultimo Palio: 16 agosto 2004. Dal 2004 risiede al pensionario). Deceduto nel 2021

 

Dopo questa piacevole chiacchierata condotta nell’ufficio, il Tenente Colonello Carlo Severi ci invita a far visita ai soggetti ospiti di cui fino ad ora avevamo solo parlato. Per prima salutiamo Zullina, ospite nella piccola riserva presente al Comando Centrale a Siena. La troviamo mentre pascola placidamente nel suo paddock in compagnia di una giovane cavalla di razza monterufolina, entrambe al riparo dalla calura del sole estivo che cominciava a farsi sentire. Noi contentissimi cerchiamo di attirarla, ma senza troppi risultati: le nostre mani vuote e i nostri richiami erano meno invitanti dell’ombra e dell’erba da brucare.

Ci spostiamo poi verso il distaccamento del pensionario situato nel Comune di Radicondoli. A soli 45 minuti da Siena e situato in un ambiente boschivo al confine tra le province di Siena, Grosseto e Pisa. Anche se le informazioni forniteci poco prima dal Comandante erano state molto esaustive non ci avevano preparato a quello spettacolo. Tra le colline verdi smeraldo si sono aperti davanti ai nostri occhi 3 paddock dal terreno morbido e liscio che, come ci spiegava il Comandante poco prima, è pensato appositamente per agevolare l’andatura dei cavalli. La vera sorpresa però sono stati proprio i barberi: vederli venire verso di noi con passo sicuro e spedito, chi ancora coi muscoli scolpiti, chi un po’ più fragile e con qualche pelo bianco sul mantello. Il personale del centro ci ha fatto entrare nel paddock per darci l’opportunità di vederli un po’ più da vicino. Siamo stati per oltre mezz’ora ad accarezzarli, cullarli con parole dolci e adorazione fanciullesca. D’un tratto siamo tornati i bambini che con gli occhi pieni di ammirazione vedono arrivare in contrada il barbero anticipato dal rumore dei suoi zoccoli ferrati sulla pietra serena. Ma l’aspetto più sorprendente, se possibile, è stato un altro.

I cavalli si sa hanno una intelligenza emotiva particolare che li fa distinguere le minacce dalle situazioni innocue. Dopo averci guardato negli occhi e compreso le genuinità delle nostre emozioni sincere si sono concessi a noi in coccole, talvolta venendole avidamente a cercarle quando interagivamo tra noi umani. Li abbiamo lasciati a malincuore e loro ci hanno seguito con le loro testone incuriosite e con un ultimo sguardo sembravano dirci “Tornate a farci le coccole, vero?!?”.

Di questa esperienza sicuramente ci rimarrà il piacere e il privilegio di aver ritrovato questi ex guerrieri a quattro zampe e di averli nuovamente ringraziati. A tutto questo, che poco non è, va aggiunto un plauso ai Carabinieri Forestali e tutto il personale che si occupa del Pensionario. Il rispetto per l’animale “cavallo”, la sua natura di stare in branco e libero di muoversi all’aperto sono i principi cardine che muovono le loro attività. A questo va aggiunta la cortesia squisita con cui ci hanno accolto e risposto a tutte le domande che, come giornalisti ma soprattutto come contradaioli, eravamo ansiosi di porre. Ci hanno riservato la stessa gentilezza e premura che dedicano agli animali.….E credeteci, qui agli animali gli vogliono bene davvero !!


Eleonora Sozzi, Caterina Manganelli, Lorenzo Gonnelli

domenica 28 luglio 2024

Tamburo... che passione!


Siena è veramente una città magica, mutevole di architettura e atmosfera da rione in rione, che spesso basta girare un angolo, uscire da una viuzza che ti sembra di essere stato trasportato in un altro luogo, tanto da farti girare e ricercare incredulo, da dove sei venuto.

Questa magia non fa certo sconti neanche per l'alternarsi delle stagioni, quando, dopo il letargo invernale, Siena rinasce e sboccia come un fiore con la primavera, e proprio come i fiori che ogni tanto nelle pazze stagioni di questo secolo te li trovi che fanno capolino in inverno quasi a rassicurarti che quel periodo freddo e di luce incerta finirà presto, camminando per i rioni può capitare di sentire da dietro la porta di qualche economato, un rullio di tamburo.

Quel suono basso e greve di pelle e cordiera in budellino, è come un raggio di sole, una bevanda calda che lenisce dal torpore sia il corpo che l'anima, è come una voce sommessa che dice: tranquillo, anche quest'anno tornerò a far sentire la mia voce insieme a quella di tutti i miei fratelli nella stagione del sole.

A quel punto ti fermi, tendi l'orecchio e speri che quel suono continui, non smetta, speri che chi lo suona non si preoccupi troppo dei vicini che potrebbero lamentarsi ma vada avanti, come quando la notte ti porta un sogno bellissimo da cui non vorresti mai destarti.

La storia che mi lega con questo aulico strumento inizia fin da piccolo, ma sinceramente fuori luogo per essere narrata qui, dirò solo che grazie a un carissimo amico di nome Duccio, che mi prestò il suo balilla per allenarmi un anno intero, ho avuto il privilegio di indossare la montura da tamburino per molti anni (fieramente passista ma con la licenza sovente del “raddoppio”) e grazie alla mia non più giovanissima età, (sia ben inteso solo per l'anagrafe) di indossarla oltre che per il giro in città, anche per quello in campagna, del quale provo particolare nostalgia.

Tamburo che passione, e la passione è veramente tantissima se ripenso a quelle domeniche di fine maggio o di inizio mangia e bevi quando in luglio, sotto un sole cocente, suonavamo i nostri mitici balilla per le strade extramoenia facendo spesso sbandierate alle persiane chiuse di contradaioli in vacanza; e ancora che passione sempre quando sperduto in qualche via dell' Acquacalda o di san Miniato, chi ti accompagnava, sentendoti magari smettere un minuto per riprendere fiato o perché ti sentivi tremendamente fuori luogo ti squadrava e ti diceva: “oh! Sona!!!” e te li riprendevi “bereben ben be-ben ben bereben ben berebenbenben...

Quanto mi manca!!

Non me ne vogliano gli alfieri, di cui ammiro la grazia, lo stile la nobiltà del gesto e le eleganze dello svolazzio frusciante della seta, se dico che per quanto so essere bello far volare la propria bandiera alta nel sole e nel cielo di Piazza del Campo, solo noi tamburini sappiamo cosa sia, quando per il rientro, imbocchiamo il Chiasso largo e in una frenesia di raddoppi e rullate senti il capo tamburo che urla “PASSO!!!” e a quel punto una voce unica, potente, invincibile e fiera, si leva dai nostri tamburi come fosse uno solo e annuncia solenne a tutti l'ingresso della Torre in Piazza del Campo.

E non ce n'è per nessuno!


Francesco Pizzo Giannini

Foto Jacopo Bartolini e Lorenzo Monciatti

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 25 Luglio 2020 dedicato alla Contrada della Torre



sabato 6 luglio 2024

"Bentornata, vecchia Amica!"


La sensazione, è stata la stessa che si prova nel rivedere un amico di vecchia data. Il protagonista della nostra infanzia, il compagno di banco, quello che non era un fratello solo per il sangue diverso. È stato come rivedersi dopo tanti anni e capire che non era cambiato niente. Per i Brucaioli, l’incontro con la fantomatica bandiera del ‘700  arrivata direttamente dal Metropolitan Museum di New York, è stato questo: riabbracciare una vecchia amica, che non si vedeva da tempo. In realtà, non l’avevamo mai vista! Sapevamo solo che portava i nostri colori, che sicuramente era nata in qualche angolo delle nostre strade e che, per qualche motivo, era finita nella collezione di tale duca Dino Charles Maurice Camille de Talleryrand-Périgord. Non sappiamo come ci sia arrivata, ma uno con un nome così, sicuramente sarà stato un buongustaio in fatto di pezzi unici. Unici, sì. Perché oggi, quando vediamo sfilare le bandiere delle consorelle sulle lastre del centro storico, ci sembrano tutte uguali. Con quei colori mossi dal vento, confusi dal rullo di un tamburo… Eppure, ogni bandiera ha la sua storia: le mani che l’hanno sfiorata, le dita sapienti che l’anno cucita e l’animo nobile di chi si è finita gli occhi per rammendarla. Questa, la bandiera del Bruco arrivata dall’America, ha una storia più… movimentata delle altre. Chissà quante cose avrebbe da raccontare…


Ovvìa, allora siete duri! Ma lo volete capi’ che la luce mi dà noia? Mi fate smunge tutti i colori, alla fine mi stingo e ‘un mi si riconosce più! Già m’hanno chiamato in tutte le maniere, alla fine si so’ dimenticati anche chi ero e da dove venivo. Io ve lo dico, ci so’ dei gazzillori a giro… roba da chiodi!

Ora mi dovete spiega’ come si fa a dimenti’assi del mi’ Bruchino. Ohiohi, cambiamo discorso via, mi ci vengano i lucci’oni. So’ passati trecent’anni e ancora mi sembra di senti’ l’vento canta’ in via del Comune, co’l profumo delle lastre impolverite e il chiacchiericcio, alla sera, prima di dormi’. Madonna ‘ome ci si stava bene, lì nel mi’ Bruchino.

Via, via! ‘Un ci voglio più pensa’, mi ci viene da piange’! C’ho quasi sperato eh, quando questi american boys mi so’ venuti a prende. Cheddì in quel troiaio di roba che teneva l’Duca in cantina! Ma ve’rai, uno che si chiama a quella maniera… Ori, gioielli, armature… Mi’a l’aveva capito che ero io, la bandiera del Bruco, quella più preziosa di tutte.

Nemmeno questi del museo c’avevano ‘apito parecchio, eh! Tutti a di’ “aaah, gudde, gudde, biutiful” e poi m’hanno zeppato nelle retrovie. Io ve lo ripeto: il mondo è pieno di gazzillori!

Ora, per esempio, dopo avemmi rotto le scatole e tirata fòri dal mi’ pertugio, m’hanno stiacciata dentro a un vetro e sgaribaldata su un aereo. Oh disgraziati! Io c’ho una certa eh!

Madonnina santa e benedetta, o dove mi porteranno? E se hanno deciso di buttammi via? Ora, vorrebbe di’ che gli è dato di balta l’capo eh… Però ecco, inizio ad ave’ qualche annetto. M’hanno sempre tenuta nascosta: tenuta bene, eh, per carità. Ma forse, lontano dalla mi’ Siena e dal mi’ Bruchino, io so’ solo una bandiera come quell’altre. Forse, passate quelle mura, è difficile capire l’amore che esiste tra le mi’ cuciture, l’emozione che il mi’ fruscìo fa nascere nel cuore di quelli di ‘asa mia…

In fondo, la fine arriva per tutti. Anche per una bandiera preziosa, fatta d’amore e di passione, anche per chi ha girato l’mondo come me, ma ‘un s’è mai dimenti’ata di casa sua.

M’hanno sballonzolato da tutte le parti, ‘un so’ stata bona a capicci niente! Poi m’hanno messo l’muso sotto un panno e arrivederci.

Ohiohi… o che succede? Che è ‘sto casino? Mi sembra d’avello bell’e sentito ma ‘un capisco, tutte queste voci, queste risate…

E l’mondo si fa luminoso. ‘Un c’ero mai stata, so’ cambiate un monte di ‘ose. Loro ‘un l’hanno visto, ma mi so’ messa a lacrima’ come uno scampolo appena nato. Il mi’ Bruchino, m’hanno ritrovata!

Oh Bruchino, Bruchino mio, quanto ho patito lontana da qui!

Grazie. Perché ‘un vi siete dimenticati di me, di noi, dell’importanza dei nostri colori, della vita che scorre e che traccia la storia. Grazie, perché siete il Bruco. Nobil Contrada, nell’anima e nel cuore.

Finalmente, sono a casa.

La Bandiera


Arianna Falchi

per la foto della bandiera si ringrazia Lucia Pelosi

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 4 Luglio 2020 dedicato alla Nobil Contrada del Bruco


martedì 2 luglio 2024

Settant’anni fa il Palio in televisione: breve storia di un evento antitelevisivo per antonomasia


Ottanta anni fa Siena veniva liberata dal nazifascismo, esattamente il 3 luglio. Il primo Palio dell’anno quindi è dedicato, oltreché alla Madonna di Provenzano, a questa importantissima ricorrenza. Una ricorrenza che non poteva passare inosservata. Anche nel 2014 si celebrò la Liberazione della città e vi furono anche dei riferimenti pittorici nel drappellone dell’artista Rosalba Parrini, poi vinto dalla Contrada del Drago.

Un ricordo assai importante per Siena, quello della fine di una guerra catastrofica che mise in ginocchio il mondo intero e dilaniò in particolar modo l’Europa e l’Italia. Uomini, donne e bambini accolsero con gioia gli alleati che vennero accolti anche dallo sventolio di bandiere.

Tuttavia, questa ben più importante celebrazione si incrocia sempre, per motivi di datazione, con un altro memorabile evento: i settant’anni della televisione italiana. Sì, perché il 2 luglio 1954 la neonata RAI giunse con i suoi primi mezzi di fortuna a Siena per organizzare una ripresa in diretta europea del Palio, vinto poi da Vittorino su Gaudenzia per i colori della Contrada Capitana dell’Onda.

telecamere in azione

Una giornata particolare che risuonò nei televisori di diversi spettatori europei con grande entusiasmo, anche perché si trattava di una rivoluzione nel campo delle telecomunicazioni; infatti, fu una tra le prime trasmissioni fuori dagli studi televisivi, dato che era nata soltanto da qualche mese. Le prime dirette erano così complesse, anche per la loro natura sperimentale, che si doveva ricorrere all’uso dei ponti radio dell’esercito per trasmettere il segnale fino agli studi di Roma e furono impegnati tantissimi tecnici. A prestare la voce per la compagine italiana fu il celebre Silvio Gigli, già radiocronista del Palio per l’EIAR fin dagli anni Trenta. Altri telecronisti stranieri si adoperarono per raccontare le diverse fasi della Carriera nella loro lingua madre, ma il segnale, al contrario di quanto si raccontava sui giornali, giunse non più lontano dei confini svizzeri. Infatti, i titoloni dei quotidiani che nei mesi precedenti vantavano: “Tutta Europa vedrà il Palio seduta in poltrona”, nei giorni vicini alla festa parlavano di “Mezza Europa”. Nonostante questo grande entusiasmo, suscitato anche da Gigli che scrisse articoli commuoventi, nell’intento di celebrare e sottolineare l’importanza di questo passaggio del Palio dalla sola voce della radiofonia alla presenza di immagini in movimento del piccolo schermo, pochi furono i senesi a ricordarlo. Evento eccezionale di cui si ricordano soltanto coloro che possedevano un televisore: in Italia gli abbonati erano 88.118 (F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio Editori, Venezia 2019).

Silvio Gigli

Tuttavia, quel grande esperimento riuscì, e il Palio “di Siena” divenne, da quel momento, un evento anche “d’Europa”, specchio e anima di antiche vestigia.

Purtroppo di queste immagini abbiamo solo qualche fotografia, la diretta non era possibile registrarla, perché la tecnologia adatta per queste intenzioni arrivò più tardi, nel 1957, con la registrazione video magnetica RVM elaborata dall’AMPEX.

Da quel 1954 il Palio tornò in televisione in rare occasioni e senza un senso di continuità. Questa serialità televisiva si conquistò più tardi con le dirette RAI di Paolo Bellucci e successivamente di Gianfranco Pancani. Eccezionalmente Emilio Fede raccontò la Carriera del 16 agosto 1966, celebre perché non andò in diretta per intero, visti gli eventi che, per una serie rocambolesca di situazioni, rimandarono la corsa al giorno seguente. La televisione non programmò una diretta per seguire la conclusione di un Palio dalla “vigilia turbolenta”, usando le parole di Fede che, rammaricato, comprese piuttosto bene le dinamiche. Inizia qui la comprensione da parte della televisione di Stato che il Palio non è il calcio, non è il festival di Sanremo; non si lascia inghiottire dalle logiche pubblicitarie discostandosene anni luce. A comprenderlo per primo, Paolo Frajese, che dette alle sue trasmissioni da Piazza del Campo un taglio antropologico, significativo, essenziale per raccontare una festa locale, cittadina, al resto d’Italia a reti unificate e focalizzate su di un evento, antitelevisivo per eccellenza. Dalle telecronache di Frajese nacque anche il documentario “Per forza e per amore” realizzato dal giornalista romano, che sposò una contradaiola e si innamorò anche della città, oltreché del suo Palio. Le sue telecronache trasudavano di amore per la festa, che raccontò dal 1974 al 1993 e studiò nel dettaglio, opponendosi alla logica del palinsesto, chiedendo “tempi supplementari” agli studi di Roma che, per la lunghezza della “mossa” tenevano in sospeso il Telegiornale nazionale. Ecco che il Palio piega il mezzo televisivo a suo piacimento, proprio per la sua natura, come già detto, antitelevisiva. L’essenza antropologica delle sue telecronache venne apprezzata e mantenuta da Emilio Ravel, altro grande cronista del Palio per la RAI che, con Maurizio Bianchini e Susanna Petruni, prima voce femminile della festa, raccontò, dal 1994, con grande sentimento e passione, dando la parola ai protagonisti con interminabili interventi e servizi RVM, dal taglio documentaristico, che preparavano lo spettatore “ignorante” a conoscere il Palio prima di quella “corsa matta” di tre giri col fiato sospeso. Ravel e Bianchini hanno regalato servizi che nella storia televisiva non rivedremo più, a causa della mutata logica mediatica e dello spettatore annoiato e poco attento che esige messaggi rapidi perché vive un’esistenza dettata dal consumismo.

 
Paolo Frajese

La coppia Ravel-Bianchini


Nel 2019 siamo arrivati all’alba di una pandemia che ha impedito, come nei conflitti mondiali, lo svolgimento naturale del Palio. Con l’ultima Carriera di quell’anno si è concluso anche il rapporto con “mamma RAI” che aveva trasmesso quasi ininterrottamente per settant’anni un evento straordinario come il Palio: sua esclusiva mondiale, visti i nuovi mezzi che, grazie alle nuove tecnologie, arrivava ben oltre la Svizzera del 1954. Una storia che non ha visto un suo proseguimento e che ha ceduto le redini di questo bellissimo ed entusiasmante racconto antropologico a La7 di Urbano Cairo. Già nel 1994 e nel 1995 la festa senese sbalzò, come in una partita di ping-pong, dalle reti Mediaset, RAI e Telemontecarlo. Qui si ricorda l’eccezionale trasmissione di Canale 5 che dedicò l’intero arco del palinsesto della giornata allo scandire delle fasi paliesche, con le voci di Fabrizio Summonte, Giorgio Medail, Cristina Parodi ed Enrico Mentana.

Dal luglio 2022, con La7, è nata quindi una storia diversa, ancora da scrivere, che ha senza dubbio colto l’importanza dell’evento, narrandolo con il suo taglio editoriale, tutto nuovo rispetto alla precedente rete, anticipando con piccoli interventi, quali interviste e documentari, in attesa del giorno fatidico, facendo sicuramente riferimento all’insegnamento di grandi cronisti che li avevano preceduti. Lo share ha avuto un buon incremento, infatti, sono arrivati i complimenti ai nuovi cronisti, Pardo e Mazzini, e alla trasmissione, da parte di un importantissimo storico dei media, come Aldo Grasso, sulle pagine del Corriere della Sera subito dopo la Carriera del luglio 2023.

Lorenzo Gonnelli

venerdì 28 giugno 2024

La Fontanina della Contrada della Chiocciola

 

“Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita.” (O.Wilde)

La storia è custode della memoria di un territorio ed è grazie ad essa che è possibile sviluppare un senso d’identità collettiva, quella appartenenza che lega indissolubilmente persone a luoghi, cuori a pietre, emozioni che sovrastano il tempo.

Questa è la storia di una rinnovata passione, della forte volontà di rafforzare un antico legame, di tramandare la “fede dei nostri avi” e renderla immortale. Racchiude in sé molto di più di una narrazione di cronaca, racconta l’elezione, l’appartenenza, la salda volontà di lasciare un segno tangibile che faccia rivivere vincoli antichi. Mai sottomessi, mai domi, ma sempre fieri e orgogliosi.

Questa è la storia di un respiro unisono, è la storia della Fontanina.

La sua testimonianza è doveroso lasciarla alle parole di colui che ne è stato fervente protagonista e che ha lasciato il segno non solo per la sua amata Contrada ma per tutta Siena: Victor Hugo Zalaffi, fervente contradaiolo della Chiocciola e, all’epoca, economo della stessa. Ideatore, insieme all’allora Priore Orlando Peccianti, della Sezione Piccoli Chiocciolini (nata soprattutto allo scopo di insegnare ai bambini a suonare il tamburo e a girare la bandiera) di cui fu Presidente per ben 20 anni, dal 1933 al 1953, organizzando un incredibile numero di attività per i bambini tra cui gite extra moenia e doposcuola. Istituì la Compagnia teatrale delle giovani attrici portandole con grande successo sui più importanti palcoscenici di Siena.

“Il giorno 30 Maggio 1930, causa principale una grandissima crisi industriale ed artigiana che si era abbattuta negli anni 1929 e 1930 nell’Italia e all’estero, ed in seguito pure ad alcune divergenze in seno alla mia famiglia, con immenso dolore fui costretto a dimettermi da direttore della officina artigiana della lavorazione del ferro battuto, lavorazione da me iniziata da giovinetto sotto l’insegnamento di mio padre deceduto nell’anno 1926, lasciando il tutto nelle mani dei miei congiunti e cercando, per me, una nuova occupazione. Grazie all’interessamento dell’amico carissimo, Sig. Orlando Peccianti, Priore della Contrada della Chiocciola, il quale era da molto tempo a conoscenza della mia situazione, nel mese di Giugno del 1930 potei ottenere un contratto con la Società Belga, proprietaria dell’officina del Gas di Siena, per l’appalto dell’esattoria.

Il giorno 1° Luglio del 1930 quindi iniziai il nuovo lavoro ed il giorno 16, recandomi in via Pantaneto, a piano terra del palazzo dove attualmente trovansi gli uffici della Previdenza Sociale, mi presentai nello studio del Prof. Fulvio Corsini, artista da me ben conosciuto per avergli più volte eseguito alcuni lavori in ferro battuto da lui stesso disegnati. Dopo una lunga chiacchierata sulle cause dell’abbandono dell’arte avita e sul nuovo lavoro che stavo svolgendo egli mi fece visitare il suo studio, dove si trovavano molti suoi lavori in gesso, e fu con viva curiosità che mi soffermai, maggiormente, ad ammirare un suo lavoro composto da una grande chiocciola con putto a cavallo della medesima.

Con la mia meraviglia e rallegrandomi con il Professore, questi essendo a conoscenza che da tempo ricoprivo la carica di Economo della Contrada della Chiocciola, e cioè dall’anno 1925, mi propose una sua idea e cioè far fondere quella sua opera in bronzo per costruire una fontanina e collocarla presso la piazzetta antistante la Sede della Contrada.

Essendo a conoscenza delle condizioni finanziarie della Contrada, dopo le grandiose vittorie riportate nella Piazza del Campo negli anni 1924-1925-1926, e le cifre, purtroppo grosse per quei tempi, che erano rimaste da pagare, con garbo promisi al Professore che della proposta avrei parlato nella più prossima adunanza, ai componenti il Seggio. La sera stessa ne parlai al Priore, Sig. Orlando Peccianti e dopo alcuni giorni, feci il possibile di accompagnarlo a visitare lo studio del Prof. Corsini ad ammirare la bellissima opera in gesso.

Il Peccianti, pur rimanendo entusiasta del lavoro ed ascoltando tutte le belle parole del Professore, il quale pur di fondere in bronzo l’opera prometteva di venire incontro alla Contrada, non potè impegnarsi e con me salutò l’ospite promettendogli di studiare la cosa.

Passarono alcuni anni ed io, visitando ogni mese lo studio del Corsini, ogni volta tornavamo sull’argomento “fontanina”.


Nella primavera dell’anno 1933, il Peccianti su mie insistenze ottenne l’approvazione in una adunanaza di Seggio, a dare vita ad una Sezione per i bambini della Contrada e quale Economo della Contrada stessa ebbi l’incarico della organizzazione e la nomina a Presidente.”

Segue una breve descrizione della nascita della nuova “Istituzione Contradaiola” con la cerimonia organizzata, il suo programma ed i nomi dei primi Piccoli Chiocciolini iscritti. La Sezione Piccoli Chiocciolini fu la prima istituzione nata a Siena per “accompagnare” i bambini nel loro percorso contradaiolo, e rappresenta ancora oggi, un importantissimo cardine della Contrada. Tralascio la sua storia in questo contesto perché, anche se strettamente connessa, rischierei di non darli il giusto valore o di non dare giusta voce alla nostra Fontanina.

Riprende Victor Hugo Zalaffi:

“Nei primi mesi dell’anno 1934, il Prof Corsini mi consegnò il bozzetto della fontanina affinchè potesse essere veduto ed approvato dai componenti il Seggio, bozzetto che trovasi, ancora oggi, presso la sede della Contrada. Il bozzetto venne senz’altro approvato; mancavano soltanto i soldi per far eseguire il lavoro.

In quegli anni la vita della Sezione Piccoli era fiorente; oltre cento bambini di ambo i sessi, frequentavano i locali sociali prendendo parte a tutte le manifestazioni contradaiole.

Al Priore Peccianti venne l’idea di far iniziare ai piccoli la raccolta dei fondi “Pro Fontanina” affidandomene l’incarico. Con una adunanza generale li chiamai unitamente ai propri familiari, comunicando loro l’idea geniale del nostro Priore ed iniziando una gara fra maschi e femmine, ritrovandosi ogni settimana, il sabato sera, per quella raccolta di soldi.

Il Signor Balò Adamo, Vice Cancelliere della Contrada, di professione fotografo, a proprie spese eseguì la fotografia del bozzetto della fontanina facendo stampare alcune centinaia di copie formato cartolina inviate, a mia volta, ai genitori dei bambini iscritti alla Sezione e ad oltre duecento benemeriti dell’Istituzione che mensilmente pagavano una quota volontariamente da essi sottoscritta, a favore della Sezione Piccoli Chiocciolini.”

Il 13 agosto 1935 si spense improvvisamente Orlando Peccianti e venne nominato Priore il Cav. Guido Tuci. Nel 1936 rinacque la Società fra i contradaioli col nuovo nominativo “Dopolavoro la Chiocciola” (Presidente il Sig. Rinaldi Alfio). La Sezione si affiancò al Dopolavoro condividendo i medesimi locali.


“Continuando la raccolta dei soldi, eseguita come sopra detto ogni sabato dai piccoli della Sezione, finalmente nel mese di Giugno dell’anno 1937 consegnai, nelle mani del Prof. Corsini, la somma occorrente per far eseguire la fusione in bronzo dell’opera sua.

Il Corsini di persona si recò a Firenze, a tutte sue spese, per assistere la fusione. Il giorno 19 Settembre 1937 mi venne consegnato il bellissimo bronzo che deposi presso i locali della Contrada. Ora bisognava continuare la raccolta dei soldi per far eseguire la base in travertino e le spese della festa per l’inaugurazione.

La “Fontanina” non poteva essere più collocata sulla parete destra della piazzetta, causa l’apertura di un porta per la nuova cancelleria e, comunicato questo al Professore egli si mise al lavoro per eseguire una diversa sistemazione. Ma il lavoro non fu portato a termine perché una terribile malattia colpì il Corsini il quale, come il Priore Peccianti, non potè giungere a vedere realizzato il suo sogno tanto desiderato.

Il giorno 16 Agosto 1938, la Contrada della Chiocciola riportò la sua 45° Vittoria sulla Piazza del Campo con il cavallo “Sansano” ed il fantino “Tripoli”.

Nei giorni dei festeggiamenti, e cioè il 18 e 19 Settembre, presso la Piazzetta della Contrada venne esposto il bronzo della “Fontanina” […] Continuando a ritrovarsi ogni fine settimana per la “Pro Fontanina”, alla fine dell’anno 1939 la somma di denaro che trovavasi in cassa si avvicinava, a gran passi, alla cifra occorrente per affrontare le spese preventivate per il basamento di travertino e per festeggiare degnamente il grande avvenimento.

Tutto era pronto per l’esecuzione di questa base quando ebbe inizio la seconda guerra mondiale. Nella cassa “Pro Fontanina” vi si trovava la somma di £ 14.489,55, somma non indifferente a quei tempi. La guerra continuava e nessuno poteva prevedere quando sarebbe finita. Nell’anno 1943, il Marchese De Grolèe Virville, abitante a Roma e creditore di una somma alla Contrada, pregava con una lettera inviata al Priore Cav. Tuci di saldare la rimanenza del suo vecchio credito. Erano tempi difficili specialmente per le Contrade […] Venne approvato all’unanimità di consegnare tutta la somma alla Contrada come risulta dal verbale dell’adunanza del Seggio in data 12 Marzo 1943.

Terminato il fragore delle armi e ritornata la Pace i nuovi bambini iscritti alla Sezione continuarono l’opera iniziata da coloro che si iscrissero nell’anno 1933. Venne dato l’incarico al Prof. Egisto Bellini chiocciolino, di eseguire il bozzetto della base in travertino e, nel medesimo tempo, inviai a tutti gli appartenenti alla Contrada della Chiocciola, una circolare affinché venissero incontro alla Sezione Piccoli. La somma versata, non inferiore a quella stabilita dal Consiglio Direttivo della Sezione, promuoveva gli aderenti a essere nominati “Grandi Benemeriti della Istituzione”.

Segue l’elenco dei nominativi.

“Finalmente, dopo tante peripezie, la sera del 28 Giugno 1947 con la strada di S. Marco e la Piazzetta antistante l’Oratorio della Contrada trasformata con luci e colori, con il suono delle campane, con il rullo dei tamburi, con canti gioiosi dei bambini e con il suono di un complesso musicale, alla presenza di molte autorità cittadine, dei Priori di tutte le Contrade con a capo il Rettore del Magistrato, Conte Chigi Saracini, con i paggi maggiori della Contrada dell’Istrice, nuova alleata, ed infine con una massa imponente di contradaioli, venne inaugurata la prima fontanina, fra le 17 Contrade, tolse il panno che ricopriva l’opera.”

Fu cantato dai bambini l’Inno della Chiocciola, e Victor Hugo Zalaffi, con orgoglio e grande emozione pronunciò un appassionato discorso concludendo con la speranza che si avverasse presto la promessa contenuta nel motto, da lui ideato, inciso sulla base della Fontanina e utilizzato “a mò di ritornello” nella canzone scritta per l’occasione da Bruno Zalaffi, fratello di Victor Hugo:

 

Quando alla Chiocciola vittoria arriderà

Questa nostra fontana buon vino getterà


 

Il Priore Cav. Uff. Guido Tuci espresse grande orgoglio per la tanto desiderata opera ricordando con “imperitura riconoscenza” Orlando Peccianti e Fulvio Corsini.

Il giornale “La Nazione” del 2 Luglio 1947, pubblicò un articolo in cui descrisse con dovizia di particolari il rione e la cerimonia di inaugurazione della fontanina che “svelava l’intima essenza dello spirito contradaiolo”.

Pochi giorni dopo, il 21 Luglio 1947, sempre “La Nazione”, descrisse la benedizione data dal Mons. Morbidi della fontanina: “…l’acqua ha zampillato dalle corna del chiocciolone” e “un girotondo dei grandiosi bambini intorno alla fontana ha chiuso la simpatica cerimonia”.

“La sera del 2 Luglio 1949 per festeggiare la strepitosa 46° Vittoria, riportata dalla Contrada della Chiocciola, nella Piazza del Campo, dal cavallo “Lirio” con il fantino Eletto Alessandri detto “Bazza”, dopo solo due anni dalla inaugurazione della “Fontana” questa, per tutta la notte, gettò vino chianti rendendo festosi Chiocciolini e non Chiocciolini che affollarono, numerosi, intorno alla bella fontanina.

Nel Settembre del 1948, unitamente al Cav. Uff. Guido Tuci, Priore della Contrada stendemmo il Regolamento per il Battesimo “Contradaiolo” da svolgersi con l’acqua della “Fontanina” da attuarsi per l’anno successivo, regolamento approvato dai componenti il Seggio della Contrada.” […]

“Il giorno 11 Settembre 1949, festeggiando con la “Cena della Vittoria” il Palio portatoci dal cavallino “Lirio” nel grandioso programma dei festeggiamenti vennero inclusi ed iniziati i primi “Battesimi Contradaioli”.

Furono battezzati i neonati:

1° = Peccianti Patrizia nata il 12 Agosto 1949

2° = Chellini Ferdinando nato il 5 Maggio 1949

3° = Golini Marco nato il 26 Aprile 1949”

 

Il battezzando, dopo la cerimonia religiosa effettuata nella Chiesa della Contrada, veniva portato davanti alla fontanina per ricevere il battesimo contradaiolo. Il Priore dava lettura della formula ancor oggi, pur con alcune modifiche formali, utilizzata:

Nel nome del Popolo di S. Marco, e con il beneplacito dell’Eccellentissimo Seggio, io, Priore di questa gloriosa Contrada, ti consacro Chiocciolino vita natural durante. Le cristalline acque di questa fonte, infonderanno a te, pargolo, la fede dei nostri avi, e nello stesso tempo, ti impongono il dovere di tramandarla alle generazioni future

Dopo la lettura della formula, il Priore stesso bagnava la fronte del bambino con l’acqua della fontanina e da quel momento, allora come oggi, quella “fede” sarà il nostro orgoglio per tutta la vita.

 

Patrizia Rossi

per le foto si ringraziano Michele Lorenzetti e Jacopo Bartolini

Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 30 Giugno 2020 dedicato alla Contrada della Chiocciola

domenica 23 giugno 2024

Malborghetto: casa e bottega

 

Il rione della memoria è fatto di volti, ambienti, mestieri che non ci sono più:
ognuno con i propri oggetti, spazi spesso angusti, odori tipici.

Da capo all’Onda c’è sempre stato un punto di ristoro: anticamente era un’osteria e si chiamava “La Lupa”. Poco più in là, a scendere, in tempi più recenti, c’era e c’è tuttora la trattoria “Garibaldi”.  Questo per i forestieri. Gli abitanti del rione andavano a fare la spesa all’angolo di vicolo San Salvadore da Ettore Pianigiani, che secondo alcuni aveva una bancarella di frutta al Mercato, famoso per essere stato duce dell’Onda, ma anche per un tentato omicidio. Si compravano generi alimentari anche nel negozio di Dando, che vendeva un pane buonissimo. Famoso era anche il forno del Bini, dove la domenica le donne portavano a cuocere il pollo.

Se la mamma “mandava a prendere il latte” c’era la bottega di Aldo Carnevalini, poi di Vittoria. Sembra di sentire il profumo dolce e zuccherino del negozio, che invitava alla colazione. Profumo di cittino, di infanzia serena: stava tutto nei bidoncini di latta o nelle bottiglie di vetro dove veniva versato, a richiesta, il nutriente liquido bianco. Mezzo litro, un litro, a seconda delle necessità e delle possibilità. Bottiglie e contenitori venivano puntualmente riciclati.

E l’arte del riciclo si esprimeva in maniera colorata e cilandrona nelle botteghe e nei magazzini dei cenciaioli: quelli di Iole e di Vannino e quella accanto alla bottega di Beppa. Anche quest’ultima, che vendeva dove ora c’è la Stanzina delle Donne, metteva in pratica una forma di riciclo, vendendo la frutta “punta”, quella di seconda scelta, a un costo ovviamente inferiore.

A quei tempi non si buttava via niente e si accomodava molto: al numero 69 della Piaggia di San Giuseppe c’era Alma, che rimetteva a nuovo le scarpe, come il Mocca, che faceva le ciabatte utilizzando la gomma delle ruote delle biciclette. Accanto a un magazzino del vicolo di San Salvadore ci stava Teresa, l’ombrellaia, che andava a fare le riparazioni anche a domicilio: oltre agli ombrelli accomodava anche i catini e le catinelle di terracotta. E poi, verso Piazza, una quasi omonima Teresina, che rammagliava le calze e fasciava i bottoni.

Per vestirsi a un livello di maggiore decenza si poteva andare da Genoveffa, la mamma di Otellino Fratalocchi, che vendeva le scarpe all’angolo della piaggia che va nel Mercato - nel negozio che esiste tutt’ora - e che aveva un laboratorio di maglieria e confezioni per i militari. Non mancava una merceria, accanto alla latteria, dove il Carnevalini prima e Ilda Cancelli poi vendevano nastri, bottoni, fili da imbastire, battitacchi, aghi e gros-grain (il famoso “grogrè) alle donne operose esperte nell’arte del cucito.

Dove ora c’è il bar estivo della Contrada, ex pasticceria, c’era la caffetteria di Nello, con vendita di vino e gioco del biliardo. Quasi di fronte Cencio, il vinaio: un altro collega si trovava davanti al Chiasso del Raspini e un altro in piazza del Mercato. Anche nel Casone, accanto alla cannellina dell’acqua, si spillava il vino: era uno dei tanti “cancellini”, una mescita di vino all’aperto. Sempre nel Mercato, sotto il murello, c’era il negozio del Palazzi, che vendeva tute da lavoro, biancheria, grembiuli e vestaglie. In tempi più recenti, per bagnare l’ugola all’angolo di San Salvadore c’era il bar L’Incontro e, prima ancora, la birreria di Biancaneve della Selva.

Oltre a Bacco non mancava il tabacco, spesso venduto, come nella bottega del Rossi e di Maria Debolini, insieme ai generi alimentari. Altre botteghe storiche erano quella del calzolaio Rodolfo e del barbiere: Guido Bruschettini, detto Lilla, prima e Silvio Chianese poi. Una parrucchiera da donna era in fondo alla Piaggia di San Giuseppe.


Nella Contrada che ha come santo patrono San Giuseppe non potevano certo mancare i discendenti di quei Legnaioli che anticamente avevano edificato la chiesa accanto all’arco di Sant’Agata: Qui, a poca distanza, c’erano un paio di laboratori di falegnameria. Era falegname anche Gino Ticci, davanti alla cannellina, e un falegname resiste ancora in via delle Lombarde. I lavori erano rifiniti da Attilio Barellini, detto Buzzino, lustrino.

In ordine sparso abbiamo i bagni pubblici prima della Piaggia di San Giuseppe - che assicuravano l’igiene una tantum ai tanti che non avevano il bagno in casa - la rimessa delle carrozze. Degno di menzione è l’erede degli antichi “acchattani” del Seicento, Mezzanotte, che raccoglieva le elemosine per le por’anime e si teneva una commissione che spendeva in gotti di vino, Antonello che vendeva le bombole del gas e – a metà piaggia – il carbonaio, che aveva sempre un carretto di legno fuori da una portaccia.

Quello dagli anni Quaranta agli anni Settanta era un mondo vivace, colorato e colorito, denso di un’umanità popolana, sanguigna, a tratti becera: dignitosa e pettegola, passionale e geniale, con un cuore grande così. Erano l’Onda e gli Ondaioli del passato: la nostra gente, quelli ai quali rivolgiamo, ancor oggi, un sorriso pieno di affetto.


Simonetta Losi 

Si ringraziano per le memorie Marisa Corbini, Massimo Crocetta, Gloria Gentilini e Armando Santini.

Immagini tratte dal Numero Unico “Un Palio, una Contrada” (1972)


Articolo tratto dal Notiziario del Forumme del 27 Giugno 2020 dedicato alla Contrada Capitana dell'Onda

Ettore, un Panterino che conquistò il mondo

  Una Porsche rossa che saliva le curve di San Marco, per arrivare in modo impaziente nel suo Pian dei Mantellini, dove ad attenderlo c’eran...